venerdì, ottobre 26, 2007

C’è Posta Per Te




Ovvero: una modesta e tardiva proposta di riqualificazione professionale

Una nuova pubblicazione (che francamente non ci interessa nemmeno troppo) demolisce - se stiamo alle sue recensioni - la figura di Padre Pio, il frate dei famosi. Credevamo che il FFF, ossia il fu Francesco Forgione, fosse soprattutto celebre per il miracolo della moltiplicazione delle fiction e per la lievitazione del bilancio di S. Giovanni Rotondo, ma a quanto pare ne compì anche in vita di rimarchevoli, tra cui la foratura sanguinolenta degli arti superiori (peraltro uno dei miracoli più sgradevoli che mai si ricordino).

Ebbene, il libro di nuova uscita pare rilevi un traffico sospetto di acidi varii i quali avrebbero potuto servire appunto al triste scopo di autoprocurarsi le suddette lesioni. Vabbè, a noi che interessa? Ognuno gode come può, e turlupina il prossimo con quel che gli salta in mente. Wanna Marchi, indole più solare e meno incline ai masochismi ha pensato al sale, ad esempio.

Comunque, in questo mondaccio cane dove il diavolo si nasconde ad ogni angolo, in fondo, tutti calunniano tutti (persino quei povericristi dei ministri della Giustizia son bersagliati), quindi concederemo che SPPDP potesse anche essere il destinatario di un miracolo, perché no?

Messori “lo scrittore cattolico” (ormai fa tutt’uno col nome, avete notato? Ma qualcuno si ricorda un suo bel romanzo magari?) interviene allora sulla vicenda con un articolo sul Corriere. Che ti fa, ivi, il Messori?

[http://www.corriere.it/cronache/07_ottobre_26/padre_pio_fede.shtml]

UNO. (Parto dal fondo). Cita un versetto del Vangelo sull’inconoscibilità alla superba ragione dell’operato miracoloso di Dio, una verità che “è rivelata ai piccoli e ai semplici ed è nascosta ai sapienti del mondo” [cf. Lc 10,21]. Questa frase, a nostro modesto avviso, pur nata innocente, è divenuta una famigerata foglia di fico della Chiesa, equivalente dell’orwelliano “l’ignoranza è forza”. Ma anche se non si è d’accordo, si converrà almeno che essa si riferisce innanzitutto alle parole e agli atti di Cristo; ebbene, non è un po’ una presunzione allora, un metter il carro davanti ai buoi, questo appiccicarla in gran fretta ai buchi del Forgione?

DUE. Invece di controbattere all’accusa circostanziata di simulazione, come vorrebbero la logica e l'onestà, il Messori rilancia, ovvero svia, menzionando persino un miracolo padrepiico accaduto a proprio uso e consumo! Quello di una lettera arrivata in un giorno:

Se è lecito, dunque, (e per capire), un aneddoto personale. Una spastica grave che non ho mai visto di persona ma con la quale intrattengo da decenni un rapporto epistolare, molto imparando dal suo sensus fidei. La sua desolazione, anni fa, per il ritardo nel ricevere posta, a causa di miei viaggi e di superlavoro, il suo rivolgersi a padre Pio, di cui è ovviamente devota [non capiamo l'equazione, francamente! Spastica = devota di SPPDP?] e l'immediato, forte profumo di fragola che è per lei il segno di essere stata ascoltata [ehm, una guarigione no?! Che ce ne facciamo degli olezzi celestiali?!]. Il mattino dopo, ecco la lettera. Ma, dall'annullo sul francobollo, risultava spedita il giorno stesso, soltanto un'ora prima: e tra le nostre case corrono più di 300 chilometri. L'esclusione, da parte del direttore dell'ufficio, che fosse possibile un errore nel timbro, errore impensabile ma che, comunque, avrebbe portato a un ritardo, non a un anticipo della data. Poco tempo dopo, una mia visita a un convento lombardo di cappuccini, l'incontro con un vecchio frate che fu a lungo segretario del Santo, sul Gargano. Al racconto dell'episodio, nessuna sorpresa ma un gesto di condiscendenza: “Roba normale, niente da stupirsi. Quando aveva una lettera che gli stava a cuore, mi diceva di metterla nella buca in piazza: ma al recapito provvedevano gli angeli custodi. Un'ora dopo, puntualmente, arrivava”.

Conclusione (così capite anche la ragione della scelta iconografica).

A chi dice che quando c’era lui (quello sopra) i treni arrivavano in orario è d’uopo rispondere, con Troisi, che allora non c’era bisogno di farlo capo del governo, bastava capostazione.

A Messori che dice che con lui (quello sotto) le lettere arrivano dopo un giorno rispondiamo coerentemente che allora non c’era bisogno di farlo santo, bastava postino.

Statemi bene.

mercoledì, ottobre 17, 2007

In the Eye of the Beholder



RICEVIAMO PUBBLICHIAMO E CHIOSIAMO

Un nostro lettore che lascerò anonimo ma che comincia per D e finisce per opobarba avrebbe voluto pubblicare il seguente commento al post 32 Secondi e, non riuscendoci, ce l’ha mandato via mail :


Rimescolare? Davvero? Due uomini che si tengono mano in mano ti fanno rimescolare? attento, la retorica è sempre in agguato per mandare in ferie l'intelligenza. Io faccio il tifo per le due vecchie sono sicuramente più simpatiche di quei due che invece del viso ti mostrano il culo.
salutoni


Quello spot è dunque fallimentare, non è intuitivamente chiaro e allora lo spiego.

Mi fa piacere che tu sostenga le due signore e le trovi simpatiche (già, visto che siamo in vena di political correctness e di sermoncini morali: non vecchie - anziane). Infatti si dicono: “Hai visto quello?” - “Sembra impossibile”- “In maniche corte con ’sto freddo!”. Per renderla ancora più trasparente: le signore si dimostrano non offese dal fatto che due persone dello stesso sesso si possano tenere per mano, non omofobe dunque.

La tua reazione è psicologicamente interessante. Attribuisci istintivamente una mentalità anti-omossesuale (anzi, -omoaffettiva: perché è quello che si vede di fatto nello spot: un gesto di affetto) a due persone anziane. In compenso menzioni dei culi che io, che pure ho una forte deformazione professionale, non ho nemmeno notato. Anche perché non sono mai inquadrati per intero e sempre quando altro è evidenziato nella scena (le mani giunte, o i due che passeggiano, e lì non si può non intuire che hanno anche, sotto i pantaloni, delle natiche, a meno di non segarli in due - come del resto anche le due anziane sotto i vestiti hanno -mio Dio!- il seno).

Ovviamente la mia (latente) interpretazione di tale critica va presa con le molle perché non ho mai studiato psicologia.

Né portoghese.

Salutoni.

lunedì, ottobre 15, 2007

Fatti Straordinari



Ossia: STRANO MA VERO

Udite udite o rustici: l'immagine del compianto Wojtyła si profila (assai significativamente) tra e con le fiamme congelate da uno scatto fotografico. Il Corriere sostiene che “già si grida al miracolo”. (Cioè comincia lui, si veda http://www.corriere.it/cronache/07_ottobre_14/papa_foto_prodigiose.shtml)

Imprecisione concettuale, comunque. Un miracolo è una violazione, od eccezione, delle leggi di natura. Ammettiamo anche che un bel giorno un falò (magari anche con una certa persistenza, e non solo in una sua fugace sezione temporale fissata da un’immagine) riproduca precisamente la silhouette del fu pontefice, zucchetto e bastone pastorale inclusi, ebbene, non di miracolo tratterebbesi ma di fatto inconsueto.

Tale fatto inconsueto peraltro spiccherebbe per la sua gratuità e inutilità a chicchessia. Sappiamo bene che Wojtyła è esistito, di sue foto se ne trovano a bizzeffe con il cerca immagini di google, per esempio. Anche da morto: tanto aveva avvezzato la gente ad adorarne l'effigie in mille salse che all’epoca del funerale vi fu una grande maggioranza di “fedeli” che si sobbarcò a ore di coda per poter catturare l’immagine della pontifical salma col telefonino. Ne vogliamo adesso anche una pirica post mortem? Ingordi…

Il vero miracolo però lo fa il Corriere. La foto in questione infatti, a salvarla con un clic come io ho fatto per postarla, reca nientedimeno che il nome “foto papa” tout court!. Beato zelo…

Altro fatto straordinario. Un prete rivela in tv la propria omosessualità. (Sai che novità.) La Chiesa se ne sbarazza con un fervor di pulizia interna che mai si era visto in occasione per esempio della pedofilia. Ci han messo anche meno, si noti, che a rimuovere altri prelati fidanzati o sposati. E quello che ti fa? Salta su con la ridicola difesa secondo cui sarebbe stata una trappola funzionale a incastrare i veri gay che si anniderebbero tra le pretesche fila (ah, allora ce ne sono davvero!).

[http://archivio.corriere.it/archiveDocumentServlet.jsp?url=/documenti_globnet/corsera/2007/10/co_9_071014097.xml]

Da qualunque parte la si giri, questa storia rivela un marciume, un’incoerenza, una vigliaccheria da far spavento. Quello si affilia alla Chiesa cattolica nonostante l’incompatibilità tra le di lei (balzane) norme e il proprio orientamento sessuale, ci si intartufa per anni, poi esce allo scoperto mezzo sì e mezzo no; quegli altri allora fanno per epurarlo con efficienza degna di miglior causa e lui salta su che no, guardate che l’ho fatto così potete beccare gli altri. Spettacolo edificante quant’altri mai! Ci manca solo il "non ho cominciato io"...

Propongo allora di consolarsi da queste miserie umane con l’immortale saggezza espressa dalle esilaranti scene della lapidazione in Brian di Nazareth.

[Chi scopre l’analogia con quanto sopra vince una confezione di diavolina per nuovi falò iconòpapi e un cartoccio di ghiaia per il bambino]




Always look on the bright side of life!

venerdì, ottobre 12, 2007

"Un Popolo di Analfabeti"

Ovvero OMAGGIO A MONTANELLI



Durante scorribande notturne su youtube trovo che qualcuno, molto meritoriamente, ha messo in rete quattro puntate di EPPUR SI MUOVE, con Beniamino PLACIDO e Indro MONTANELLI, trasmissione del 1994. Le potete trovare su youtube cercando le parole in maiuscolo.

Posto uno degli spezzoni, raccomandando peraltro la visione di tutti. E' un piacere sentire parlare (sentire insegnare dovrei dire) il grandissimo Montanelli con il contrappunto garbato e acuto di Placido. Chiarezza, profondità, originalità derivante da indipendenza di giudizio, enorme cultura. Altro che Vespe e Santori.

Nello spezzone che vedete qui sopra, anche solo a darsi la minima briga di seguirlo partendo dal minuto 3.14, si può ascoltare una riflessione chiara e coincisa sul ruolo storico rivestito dalla Chiesa Cattolica, in paragone al Protestantesimo, nel mantenere gli italiani un popolo di analfabeti. E sentite un po' che dice del latino.

Su tale analfabetismo, che persiste ancor oggi sebbene in forma più strisciante, torneremo; per ora parole non ci appulcro, per non inquinare con le mie quelle che ascolterete.

Valete.

mercoledì, ottobre 10, 2007

Trentadue secondi




...Tanti ne dura questo brevissimo video. Quando l'ho visto mi sono sentito rimescolare, primo perché è assai ben congegnato, secondo perché è assai garbato esteticamente (tra l'altro la lingua, ho constatato, ricorda il mio dialetto) e terzo perché ho pensato che proviene dal piccolo, isolato Portogallo. Nell'Italia "in Europa", ossia la Vaticalia di Ratzinger Ruini Prodi Buttiglione Bindi Binetti e dell'Islam rampante, quanto dovremo aspettare?

(Ho citato solo alcuni prominenti politici italiani, se ho dimenticato qualcuno segnalatemelo).

[E un affettuoso grazie al grande amico ispanolusitano Rubén!]

domenica, ottobre 07, 2007

De Partibus Animalium [2]. Gli Opinionisti.


Ecco ancora una bizzarra creatura offrirsi alla nostra lente d'ingrandimento. L’opinionista.

Dice Wikipedia: "L’opinione è l’idea che una persona ha in merito a qualcosa. Si tratta quindi di una valutazione e di un giudizio su quella cosa".

Balle. Difficile trovare una definizione più imprecisa dal punto di vista filosofico. Si accozzano nella stessa riga i termini opinione, idea, valutazione e giudizio, che ci stanno comodi come quattro obesi in piena crisi d’asma nello stesso ascensore bloccato tra due piani.

L’opinione (a dispetto di molti usi errati del termine) è il risultato appunto dell’opinare, ovvero di una forma di conoscenza estemporanea, provvisoria, su base incompleta. Lo sapeva bene Parmenide che contrapponeva opinione e verità, la prima via dell’errore e dell’apparenza (ancorché a volte plausibile) la seconda dell’essere e della sapienza. L’opinione quindi è già qualcosa di più che la vegetazione ma è uno stadio incompleto e vacillante. E' una malattia infantile del pensiero. Ci si passa attraverso e poi se ne esce rafforzati. In ogni caso non ci si ferma lì.

Le persone intelligenti non si vergognano di avere opinioni, ma si rammaricano di averne più che idee. Quando si confrontano con le altre cercano piuttosto di proporre le loro ragioni argomentate. Le persone intelligenti a sentirsi dire “opinionista” storcono il naso. Lungi da loro poi autodefinirsi tali!

Il suffisso -ista, indica l’adesione, la conformità sistematica a un -ismo. Dell’ "opinionismo" nessuno ha mai scritto un manifesto, ma è chiaro di che cosa si tratta. E’ quel movimento culturale trasversale in cui singoli personaggi, a cui generalmente l’esposizione mediatica ha dato alla testa, prendono le loro quattro opinioni, ci si attaccano con affetto morboso, e poi, magari in bella confezione (un blog, uno spazio in una trasmissione, una colonna settimanale), le ammanniscono a terzi come frutti sopraffini di meditata saggezza. Poiché è più facile sputacchiare opinioni che costruire argomenti, hanno gioco facile. Poiché ancor più facile che attaccarsi a un’opinione propria è prendere per buona un’opinione altrui, gli opinionisti hanno anche un certo seguito.

Ma l’opinionista non è altro che uno scarabeo stercorario. Un animaluzzo piccino picciò aggrappato a una pallina di cacca secca che quando la guarda immagina di avere la Terra intera tra le zampette e quando la rotola avanti per porgerla ad altri la gabella per perla sopraffina.

Finché l’opinionismo ha per oggetto il giuoco del pallone, il bon ton, le vicende dei reality show, passi. Ma quando l'insettuzzo sconfina in campi alti come la discussione politica, etica, religiosa, allora è meglio cominciare a discernere tra idee e palline di cacca secca. Aziende di disinfestazione cercansi.

Valete.

giovedì, ottobre 04, 2007

Fugace raccolta di considerazioni (Non tutte mie) sull’Aldilà e l’Eguagliatrice



…come chiosa ai pensieri di ieri.

La morte, non è una gran bella prospettiva. Anzi, almeno lo fosse, una prospettiva! Non è rappresentabile, è sempre la morte degli altri. Come condannati in una cella, vediamo gli altri esser portati via e non sappiamo quando toccherà a noi (Pascal, credo). Strehler diceva per esorcizzare “solo gli stronzi muoiono!”.

Il nulla è sempre in agguato, non importa se tra un secondo o tra un anno. E ci sta davanti da soli, ci fa mettere in spalla un carico che nessun groppone se non il nostro può portare, senza nemmeno che abbiamo barrato una casella prima di nascere: vuole Lei venire al mondo e assumersi il conseguente fardello omaggio? SI’ / NO.

Le statistiche se siamo giovani ci danno qualche illusione, e, da vecchi, non c’è nessuno che lo sia tanto -come diceva Cicerone- da non credere che non vivrà ancora un anno. Ma, intendiamoci, non è l’illusione di risolvere la questione, solo di rimandarla. In questo tutti dobbiamo condurre una politica da governo balneare: in assenza di soluzioni, proroghe.

Le religioni ci dicono invece che dopo c’è qualcosa. Mentre i filosofi sostengono che parlare di un “dopo” dopo la fine è un controsenso, come un cerchio quadrato di ferro ligneo. Wittgenstein aggiunge che, a ben vedere, anche se ci fosse una vita infinita nell’aldilà, non sarebbe eliminato l’enigma della vita stessa [TRACTATUS 6.4312]. A me comunque andrebbe bene, eh!?

Non si sa bene che cosa sia l'aldilà delle religioni. Quando Dante provò a descrivere quello cristiano ne fece una copia dell’aldiqua, solo più sanguigna (inferno e purgatorio) o più eterea (paradiso - eterea ho detto, ma ci si può lo stesso dire male del Vaticano, cfr. XXVII 25-27). Giovanni Paolo II, come estrema difesa dalle critiche al geo-antropomorfismo in cui ogni tentativo di rappresentazione inevitabilmente scade, disse che quei presunti luoghi sono piuttosto “stati della mente”. Il purgatorio lo è di sicuro, visto che per sostenerne l’esistenza ci si aggrappa a delle ragnatele concettuali, si stiracchiano quattro versetti striminziti.

Addirittura poi il Cattolicesimo prospetta un dopo-dopo-dopo! Una resurrezione dei corpi che è uno dei punti più imbarazzanti del credo (e infatti nel catechismo ufficiale si dice che è irrappresentabile e si tira via veloci veloci sperando che qualcuno non salti su a far troppe domande). Chiedetene un po’ ai vostri amici cattolici che cosa ne sanno.

Più concreto è il paradiso dei Musulmani. Un posto bellissimo, una specie di oasi piena di frescura, di ombra e di acqua (e te lo credo che ha originariamente allettato delle popolazioni beduine) in cui, oltre alle sette (o settantasette?) vergini, ci sono anche dei bei “garzoni” (così Bausani traduce pudicamente quella che è un’effettiva traccia di pederastia alla greca nelle Parole del Clemente e Misericordioso, il Quale evidentemente provvede anche a coloro i cui occhi godono delle forme maschili [LVI, 17] in barba a Ahmadinejad che invece li impicca). Ci viene assicurato che là non avremo mal di testa [sic - LVI 19] e speriamo allora nemmeno il raffreddore o la costipazione.

Ma a quanto pare, qualunque cosa sia, che cosa succede nell'aldilà a ciascuno dipende da come ci è comportati qui, nel non-ancora-di-là. C'è un rapporto causa-effetto: se ti sei impegnato, passi, se no ti bocciano (con il purgatorio dei cattolici che è un po' come gli esami di riparazione). E la bocciatura è poco piacevole, si parla di fiamme oppure, se si è un pochino più raffinati, à la Wojtyła, della lontananza da Dio. Naturalmente sempre Dio ha un diritto discrezionale, può a sua volta cambiare le cose e rimuovere i trapassati dalle loro sedi come carriarmatini sulla plancia del Risiko, se vuole. Direbbe un mio amico irlandese: "God can do whatever she wants"! Come ha fatto Ratzinger (che in questo si è dimostrato buon emulo, immagine terrestre, del(la) Superiore) quando ha tirato fuori i bambini dal limbo. Limbo che semplicemente è stato lasciato perdere perché indifendibile, ancor più fragile del purgatorio.

Di inferno si parla meno, anche se si ricevono in udienza dittatori che sicuramente lo meriteranno, o forse proprio per non metterli in imbarazzo. Per sentire due parole al proposito c'è da ascoltare Radio Maria con l'ineffabile Don Fanzaga. Ma mai ad personam, quelle parole, si intende! C'è quasi una pruderie per la dannazione, si dice che lo sa poi Dio se qualcuno se la merita e perché. Lo stesso non vale per il paradiso dove invece si va con nome e cognome, con tanto di carte bollate e di gigantografie in Piazza S. Pietro. Un po' più coerenti i Musulmani che, forse perché non sono ancora passati attraverso una fase storico-social-mediatica buonista, all'inferno ci mandano gli infedeli e dicono esplicitamente di sé che il giorno dopo saranno in paradiso col Profeta (questo, generalmente, prima di farne una grossa). Gli ebrei invece, presi come sono dai loro problemi terreni, all'aldilà non ci pensano troppo, è importante quel che si fa qui e ora. La religione spesso nel pregiudizio associata al calcolo e al commercio è quella che invece, con l'aldilà, fa meno speculazioni del tipo "questo in cambio di quello". Oggi il detto ebraico più noto al riguardo della morte è quello di Woody Allen che dice che non è che ne ha paura ma non vorrebbe essere lì quando succede a lui. Sarà che i rabbini, finissimi ragionatori, al contrario dei preti e dei saggi musulmani han capito che c'è poco da scervellarsi e che è vergognoso contrattarci.


Ma torniamo al paradiso. E immaginiamo di credere che ci sia.


Ho visto tanta gente passarsela male, qui sulla Terra che è poi il posto dove son sempre stato. Passarsela peggio anche di me, intendiamoci (che però il paradiso non lo merito, quindi non faccio testo) E se la passava peggio dei papi, dei vescovi, dei cardinali, delle reginedinghilterra, dei georgebush, dei binladen, dei nasrallah. O anche solo delle famiglie integraliste cristiane della bible belt che vanno a ringraziare il Signore in pick up. O delle onorevoli col cilicio. O delle famigliole in bici ai “dì della famiglia”. O dei papaboys che si pagano viaggi fino agli antipodi per partecipare a Godstock (o Popestock - che Dio ci sia non si sa infatti, che il pontefice vi appaia è certo).

E allora, questi se la godono sulla terra, stanno benissimo e poi, nel dopo, devono stare ancora meglio? Mi viene da dire: c’è PURE il Paradiso!? Avete avuto tutto e adesso volete anche quello, per sempre!? Che ingiustizia!

Mentre quelli che son stati male in vita magari sì, in paradiso ci vanno, ma con i ricordi della vitaccia passata? Ad esempio con i ricordi della lebbra patita a Calcutta? O dei dolori lancinanti che se li son portati via in tenera età? O del Lager in cui son stati fatti fuori come bestie? Sì, dico con i ricordi, lo devo assumere, perché se si cancellano o modificano quelli si cancella o modifica l'identità e in tal caso sarebbe come se andasse in paradiso qualcun'altro! [1]. E con i ricordi traslocano in cielo le ingiustizie terrene.

Meglio quindi se non c’è niente. Nel nulla io, nel nulla i miserabili, ma con tutti i pasciuti filistei!

(E lo so che è una magra consolazione).

Valete.

[1] Ma questo forse è un ragionamento troppo filosofico per i teologi vaticani, meglio spendere i tesori dell'intelletto alla ricerca di miracoli per intentare processi di beatificazione e santificazione.

mercoledì, ottobre 03, 2007

Una modesta critica del pensare religioso in rapporto al concetto di libertà



[...cui segue un altrettanto modesto elogio del Liberalismo]

Mea culpa. Avrei dovuto essere più cauto, ma ci sono caduto. Ho incominciato una discussione nei dettagli del rapporto tra Islam e libertà (e così pure, qualche tempo fa, ho discusso con esempi puntuali il rapporto tra il Cattolicesimo e la libertà). E discutere nei dettagli significa stimolare la ricerca da parte dell’interlocutore di controesempi. Per un imam che ha pronunciato la fatwa di morte contro Salman Rushdie ce n’è uno che lo ha ospitato in casa sua per proteggerlo. Per uno che non muove un dito contro l’infibulazione ce n’è uno che si sgola in senso contrario. E così via. Da noi, per un prete che tuona contro gli omosessuali ce n’è uno che ne auspica persino il riconoscimento legale (raro, ma possibile). Eccetera.

Mi soffermo ancora un paragrafo sulla mutilazione genitale femminile. Il persistere dell’infibulazione, così ragiono, si ha, dopotutto, in società permeate dall’Islam. Poiché questa usanza è ripugnante e crudele, ed inoltre non ha alcuna base scritturale (anzi, mi si ricorda che ci sono delle testimonianze in senso contrario nella tradizione quanto al comportamento del Profeta con le figlie), si suppone che, in una società, ripeto, pesantemente influenzata dalla religione, tale usanza dovrebbe essere scomparsa da un bel po’. Se invece è rimasta (e rimane) così a lungo vuol dire che le autorità che più possono influire su di essa (ovvero, quelle religiose) si sono mosse pochino. E questo per insensibilità, credo - una insensibilità nei confronti della donna che (sospetto) è strutturale nell’Islam (come nelle sue religioni sorelle o sorellastre se vi aggrada). Poiché, dal punto di vista prettamente anatomico, ciò che caratterizza una donna è il possesso (inter alia) di un vagina, se persiste una pratica volta a mutilarla e che peraltro si dimostra apportatrice di malattie e problemi meccanici (non parlo nemmeno del piacere della donna, se vi infastidisce: anche solo dell’unione procreativa), ebbene, se persiste una cosa del genere nonostante sia dolorosa e inutile, e tale sia stata per generazioni e generazioni di donne, occorre davvero che ci sia una gran bella dose di indifferenza e di inerzia ad ostacolarne l’abolizione. E ancor più responsabili sono quelle autorità religiose che hanno il potere di influenzare le opinioni e quindi i comportamenti. E doppiamente responsabili se quella pratica va contro la religione.

Nel dibattito tra me e le due lettrici di fede islamica sembra emergere uno strano Islam. Siamo abituati, in Occidente, a parlare di Paesi islamici. Ora si scopre, discutendo con queste gentili interlocutrici, che in realtà, quei Paesi, davvero “islamici” non sono, perché se lo fossero ben altri sarebbero i comportamenti e le leggi vigenti. Insomma, l’Islam sarebbe in qualche modo assente e presente. Se un comportamento è criticato lo si distacca immediatamente dalla religione dicendo “ma quello non è il vero Islam”. Bene, dico io, questo è consolante. Allora dobbiamo presupporre che l’Islam sia un atteggiamento tutto sommato a mal partito in quegli Stati (e sono tanti) dove si governa sulla base di una discendenza del Profeta e dove si accompagna al nome dello Stato medesimo l’aggettivo “Islamico”. Fin qui, in linea ipotetica, posso seguirvi. Se esiste una possibilità di tradurre l’Islam, nella politica, in modo che esso non vada necessariamente a braccetto con l’autoritarismo (ma ho i miei dubbi) e con una serie di pessimi usi come ad esempio la pena di morte, e l’oppressione dei non correligionari, ben venga. Ma, ripeto, a causa del contenuto del Corano (in particolare quanto al centrale concetto di jihad, che consente anche un’interpretazione concreta e violenta) ho poca fiducia. Mi concederete almeno che in secoli di storia non se n’è avuta gran dimostrazione, di una simile possibilità.

Questo gioco del rimpiattino (“Sì, quel comportamento X è orribile! Ma non è vero Islam / Cristianesimo / Ebraismo / Comunismo, si ricorda infatti il caso di quel musulmano / cristiano / ebreo / comunista che fece / disse esattamente il contrario di X…”) vale per tutte le fedi. Non si finisce più (per quanto, ripeto, poi la somma totale delle responsabilità storiche parli a sfavore delle religioni).

Sono ancora disposto a discutere nei dettagli i singoli comportamenti, i singoli versetti e le singole interpretazioni. Ma per oggi lasciamo in un angolo questo tira-e-molla e vediamo anche la cosa da un paio di altre prospettive. Quella individuale innanzitutto. La religione ha senza dubbio un ruolo importante per la spiritualità del singolo, per il suo equilibrio. Le nostre lettrici hanno menzionato il sollievo che una conversione, l’abbracciare una fede, comporta. E io capisco profondamente questi sentimenti, e ancor di più quelli di smarrimento e angoscia che li hanno preceduti e per questo li rispetto. Una fede dà grande forza. Sicuramente sono più serene le giornate di chi crede a un Essere Superiore che vede e provvede, di chi confida nella giustizia ultima o di chi è convinto della sopravvivenza individuale dell'anima dopo la morte.

Solo che la fede dà una forza eccessiva. Poiché si tratta, in origine, del rapporto individuale con un Essere Superiore, si finisce col legittimare tutto quello che a quell’Essere, alle Sue parole, è fatto risalire. Parole che però si contraddicono, o tra religione e religione o all’interno di una stessa religione quando vi sono nei testi sacri diverse interpretazioni possibili (e dove non ci sono?). Nonostante questo (e passiamo dalla prospettiva individuale a quella collettiva) si comincia col tracciare una linea tra fedele e infedele, la linea diventa dislivello di valori, e poi ci si sente giustificati ad ammazzare o almeno opprimere e disprezzare il secondo. E’ spesso stato detto, riprendendo una citazione (male interpretata) di Dostoevskij, che l’ateismo è da rifiutare perché, senza Dio, tutto è possibile. Acutamente ha fatto invece osservare un filosofo francese contemporaneo che, proprio perché c’è Dio tutto diventa possibile. Dire Deus vult, ma sha’ Allah diventa la coperta per coprire ogni nefandezza e il cemento per consolidare ogni status quo nocivo a qualcuno, singoli o cateogorie.


La religione crea anche delle affinità elettive spiacevoli
(per usare un understatement). La nostra giovane lettrice e interlocutrice Asyia Fatima è assai verosimilmente una persona amabile e gentile, ma sul suo blog troviamo anche spazio per Osama bin Laden, che, indubbiamente, non è una figura equilibrata ed innocua. Qualche tempo fa un nostro lettore cattolico, che certamente è lungi dall’auspicare guerre coloniali o espulsione delle comunità giudaiche, si dimostrava indulgente verso un movimento che mischia cattolicesimo (poco) e fascismo (tanto) perché in fondo si tratta di correligionari.

E ancora. Si può anche pensare che l’11 settembre non sia un avvenimento di matrice prettamente religiosa, che sia un avvenimento bellico (e quindi politico) con una patina islamica, ma di sicuro, se qualcuno ha avuto lo scellerato fegato di schiantarsi contro un grattacielo facendo fuori molte alte persone è perché era estremamente convinto di trovare qualcosa di meraviglioso dopo la morte. E del pari, se credessero un po’ meno all’immortalità dell’anima e al paradiso, molti meno giovani e ignoranti soldati americani partirebbero per andare a sparare agli abitanti di Paesi che non saprebbero trovare su una cartina muta. Lo so che suona idealistico, ma forse le guerre come quella in Iraq si fermerebbero, nonostante le altissime paghe, se ci fosse una sorta di obiezione di massa dovuta alla paura di perdere, insieme alla pelle, davvero tutto quello che c’è da perdere.

Le religioni ci dicono sì che l’essere umano è debole e fallibile, in confronto all’Essere Supremo, ma poi ahimè legittimano tutte le azioni che, da parte di quell’umano debole e fallibile, sono perpetrate in nome dell’Essere Supremo stesso. Non importa che ci sia un’autorità centrale (come il Papa) o che ce ne siano tante (come i saggi dell’islam - il che è anche peggio perché aumenta la confusione), quel che conta è che, nel nome di Dio, quelle autorità non si smuovono di un millimetro. Dio diventa lo strumento di qualunque irrigidimento dottrinario. In questo senso, anche i concetti di bontà, tolleranza e libertà che sono ricavati dalle religioni e vissuti dai loro rappresentanti sono, ancorché di fatto positivi, comunque distorti, malati.

Il liberalismo arriva ad un concetto di rispetto che è di ben altra fattura. Occorre dare spazio ad ognuno perché, ciascuno, potenzialmente, potrebbe avere ragione, fallibili e deboli come siamo. Che ciascuno sia ascoltato, che ciascuno contribuisca, che nessuno ammazzi od opprima nessuno in nome della propria posizione. Per dirla con von Hayek “La libertà è l’essenziale per far posto all’imprevedibile e all’impredicibile; ne abbiamo bisogno perché, come abbiamo imparato, da essa nascono le occasioni per raggiungere molti dei nostri obiettivi. Siccome ogni individuo sa poco, e, in particolare, raramente sa chi di noi sa fare meglio, ci affidiamo agli sforzi indipendenti e concorrenti dei molti per propiziare la nascita di quel che desidereremo quando lo vedremo” [1].

E’ un ragionamento con un fondo di apprezzamento per la probabilità: occorre che cento scuole fioriscano e si confrontino non per poi poterle meglio schiacciare (come fece in Cina chi si servì di questa metafora), ma perché umilmente si riconosce che ciascun altro potrebbe avere ragione e più si contribuisce più si innalzano le possibilità di miglioramento. E’ un apprezzamento della collaborazione, del reciproco aiuto, superiore, paradossalmente, a quello del comunismo. E le scuole saranno tante e si contraddiranno, forse, come i teologi e i saggi delle religioni: ma nessuna sarà legittimata ad accoltellare o emarginare gli appartenenti ad un’altra. Ci troviamo a condividere la bizzarra e forse anche triste condizione umana. Vediamo di ascoltarci, di darci possibilmente una mano, e che nessuno ci dica che il suo rapporto individuale con un Essere Superiore (che potrebbe anche esistere, chissà) lo autorizza a pesare anche solo un grammo di più degli altri.

Il comunismo non parla di Dio, ma non si rende nemmeno conto della fallibilità e limitatezza dell’essere umano come suo tratto essenziale (infatti prevede una specie di paradisiaca fine della storia), così poi si trova in imbarazzo a spiegare perché manifestazioni storiche presentatesi come comuniste sono fallite o deviate. Il liberalismo riconosce invece che siamo fatti di un legno duro e storto, difficile a foggiarsi, ed evita ogni culto della personalità o della super-personalità, pertanto non ha imbarazzi nemmeno a riconoscere che ci possono essere (e vanno combattute!) proprie forme deviate o pretestuose in cui di “liberalismo” c’è solo il nome. E non le scusa perché in fondo c’è una somiglianza almeno verbale o una lontana parentela.

Valete.

[1] Friedrich A. von Hayek, La società libera , cit. in D. Antiseri, Prefazione a F.A. von Hayek, Individualismo: quello vero e quello falso, Rubbettino 1997 (ed. italiana di Individualism: true and false, 1949), p. 29.
{Sì, Beiderbecke, te lo restituirò, vedi bene però che ne ho fatto tesoro!}

lunedì, ottobre 01, 2007

Barry I miss you




Era un repubblicano. Ma non aveva niente a che vedere con le mezze tacche neocon odierne. Era un conservatore, ma aveva ben chiaro cosa fosse importante conservare e le questioni verso le quali invece la società avrebbe dovuto aprirsi. E soprattuto dava dei gran calci nel culo ai bigotti che, al fine di imporre la loro concezione confessionale della vita e della politica volevano restringere le libertà che sono alla base della grandezza dell'occidente (e che secondo me - al di là di tutto - lo mantengono a tutt'oggi grande).
Se oggi nello scenario politico mondiale i conservatori e la destra più in generale fossero rappresentati in primis da gente come Barry Goldwater, come Rudy Giuliani, gente insomma che è a favore del libero mercato, della tolleranza zero contro il crimine, ma che anche delle libertà civili ed ha una visione laica e secolarizzata della politica, beh, superfluo dire che il sottoscritto si dichiarerebbe orgogliosamente conservatore. Peccato che però oggi la situazione non sia per nulla così.
Però, augurandomi con tutto il cuore che Giuliani nel 2008 trionfi, voglio elencare alcune affermazioni di Barry Goldwater che riassumono bene il suo pensiero. Sarei veramente curioso oggi di sentire cosa direbbe dell'estremismo religioso imperante in gran parte del mondo e soprattutto del terrorismo che rappresenta il vero cancro della nostra epoca.


"On religious issues there can be little or no compromise. There is no position on which people are so immovable as their religious beliefs. There is no more powerful ally one can claim in a debate than Jesus Christ, or God, or Allah, or whatever one calls this supreme being. But like any powerful weapon, the use of God's name on one's behalf should be used sparingly. The religious factions that are growing throughout our land are not using their religious clout with wisdom. They are trying to force government leaders into following their position 100 percent. If you disagree with these religious groups on a particular moral issue, they complain, they threaten you with a loss of money or votes or both.
I'm frankly sick and tired of the political preachers across this country telling me as a citizen that if I want to be a moral person, I must believe in "A," "B," "C" and "D." Just who do they think they are? And from where do they presume to claim the right to dictate their moral beliefs to me?
And I am even more angry as a legislator who must endure the threats of every religious group who thinks it has some God-granted right to control my vote on every roll call in the Senate.
I am warning them today: I will fight them every step of the way if they try to dictate their moral convictions to all Americans in the name of "conservatism."

Speech in the US Senate (16 September 1981)


"I think every good Christian ought to kick Falwell right in the ass."
July, 1981, in response to Moral Majority founder Jerry Falwell's opposition to the nomination of Sandra Day O'Connor to the Supreme Court, of which Falwell had said, "Every good Christian should be concerned."—Ed Magnuson, Time Magazine, The Brethren's First Sister, July 20, 1981. Retrieved 1/1/07.


"My faith in the future rests squarely on the belief that man, if he doesn't first destroy himself, will find new answers in the universe, new technologies, new disciplines, which will contribute to a vastly different and better world in the twenty-first century. Recalling what has happened in my short lifetime in the fields of communication and transportation and the life sciences, I marvel at the pessimists who tell us that we have reached the end of our productive capacity, who project a future of primarily dividing up what we now have and making do with less. To my mind the single essential element on which all discoveries will be dependent is human freedom."
With No Apologies (1979)



"I would remind you that extremism in the defense of liberty is no vice! And let me remind you also that moderation in the pursuit of justice is no virtue!"

Acceptance Speech as the 1964 Republican Presidential candidate.


"The big thing is to make this country, along with every other country in the world with a few exceptions, quit discriminating against people just because they're gay, you don't have to agree with it, but they have a constitutional right to be gay. And that's what brings me into it."

Eppoi questa è davvero geniale:

"You don't have to be straight to be in the military; you just have to be able to shoot straight"

domenica, settembre 30, 2007

Just to make a few things clear





"Fuck Osama bin Laden, al-Qaeda, and backward-ass, cave-dwelling, fundamentalist assholes everywhere. On the names of innocent thousands murdered, I pray you spend the rest of eternity with your seventy-two whores roasting in a jet-fueled fire in hell. You towel headed camel jockeys can kiss my royal, Irish ass!"
the 25th hour - Spike Lee

lunedì, settembre 24, 2007

Risposta aperta a una gentile lettrice sulla condizione della donna (e della bambina) nell’Islam


Cara amica,
Benvenuta. Ho letto con attenzione la tua risposta. Non credo che siamo poi così lontani quanto ad idee, almeno non su ogni punto. Hai ragione, ad esempio, sulla donna mercificata; le portatrici di culo di cui parlavo nel post precedente (nota linguistica: pensa che il correttore di word continua a sottolineare la parola culo!) sono infatti donne tristemente oggettificate e ridotte ad una frazione fisica di loro stesse. Io facevo innanzitutto notare che il dar giudizi su questa o quell’altra parte del corpo è qualcosa di umano, e d'altra parte, a voler essere rigorosamente contro, anche un concorso di bellezza dello sguardo dovrebbe irritare. Non negherai inoltre che anche gli uomini musulmani hanno i loro canoni per giudicare una donna “pezzo per pezzo” anche se poi la cosa rimane “per la strada” e non si è ancora arrivati a una trasmissione televisiva che dia risalto alla cosa. E immagino anche le donne musulmane giudichino qualche a volta l’uomo “a pezzi”. (Ad esempio l’amatissimo e popolarissimo cantante Amr Diab non è gobbo e stortignaccolo, tutt'altro - è dovuto solo alla bella voce il suo successo?). Quindi, da un lato l’apprezzamento puramente fisico delle natiche non è necessariamente un segno di decadenza, e, dall'altro, se segno di decadenza è in quanto una singola parte del corpo è impiegata come unico metro di giudizio di una persona, questo si ha comunque anche nei Paesi islamici. Insomma: sdrammatizziamo un po’.

Passiamo ad argomenti più profondi, che prescindono dalla specifica questione delle natiche esibite in tv. Parliamo della condizione della donna secondo l’Islam. Hai ragione sulla inaffidabilità metro di giudizio che si impiega per valutare la libertà della donna e sulle miopi facilonerie in cui si incorre nel farlo. La donna non è più libera quanto più si può scoprire. E nemmeno è più realizzata quanto più può salire, o di fatto sale, gli scalini della gerarchia di un’azienda o di uno stato. Io sono figlio di una casalinga che ha rinunciato al lavoro per seguire meglio la mia educazione e che ha una ricchissima vita spirituale, molto più, credo, di qualche ministra o di qualche manager - da una simile stortura di ragionamento mi sento esente. E gli occidentali superficiali lo dimenticano. Però anche tu sei fluttuante: se tu fossi relativista in modo coerente ("le donne musulmane hanno un metro, le occidentali un altro, e ciascuna è contenta con quel che ha") non dovresti nemmeno chiedermi se ci sono poi così tante in posti prominenti nella politica occidentale, né menzionarmi le donne in posizioni di successo. Se si è coerenti col ragionamento dei “due metri” domande così diventano irrilevanti. E comunque, la risposta è, donne in politica nel mondo arabo ce ne sono, sì, io so almeno di quelle in Egitto, ma prima che se ne veda una alla presidenza (come la Tatcher, come la Merkel) di uno Stato si può aspettare che torni il Profeta.

Specifico tuttavia una cosa: se anche esistesse un metro di giudizio assoluto, e in base a quello emergesse che le donne in Medio Oriente sono “meno realizzate”, ebbene questo non giustificherebbe alcuna aggressione da parte dall’Occidente. Lo dico per limitare il discorso alla mera discussione sulla condizione della donna perché è chiaro che molti compiono una serie di passaggi argomentativi e ideologici del tipo “la donna nella società islamica è inferiore” ergo “la società islamica in toto è inferiore” ergo “si può / si deve attaccare la società islamica con la violenza o con altri mezzi”. Non sono così rozzo.

Hai anche ragione sulla paradossale modernità del Corano a cui nessuno pensa, di primo acchito. Il Corano fu un grande miglioramento, una eccellente innovazione, dal punto di vista legale. Ad esempio si scaglia contro l’uso orribile di uccidere le neonate, vigente nell’epoca precedente al Profeta, che le rivelazioni cancellarono. La donna della società preislamica non se la passava affatto bene (ma ancora - la prima moglie del Profeta, Khadija, era una ricca commerciante, vedova. Anche questo è un punto che può far riflettere).

Ma è il seguente che ritengo l’argomento più forte, e vorrei che su questo ci si concentrasse. Parli anche tu di rispetto per la donna. Se ammetti che la donna possa essere rispettata (qualunque cosa si intenda per rispetto), ammetti anche che ci siano anche casi in cui la donna può NON essere rispettata E questo può purtroppo accadere anche nell’ambito famigliare - pure il Corano menziona l’eventualità di maltrattamenti da parte dal marito (vedi IV,128). Ebbene, in questo caso si misura la libertà e la tutela della donna (quindi il rispetto stesso!) dalla facilità che la donna ha di liberarsi del non rispetto di cui potrebbe trovarsi ad essere vittima. E qui si cade; perché le leggi islamiche nel divorzio favoriscono inesorabilmente il marito. Questo non è nemmeno uno di quei punti ambigui, moderabili (si sa che il Corano ha infatti versetti che ne abrogano o almeno mitigano altri), ma è scritto, e salmodiato, chiaro e tondo. Il divorzio islamico, stando alle parole del Corano che ha pure una sura (la LXV) che ne prende il nome, è, sì, meno brutale di quanto si pensi; c’è un periodo di riflessione che l’uomo deve rispettare perché potrebbe voler ritornare su suoi passi, poi la donna deve ricevere il necessario per la sussistenza, e infine si parla di trattare la ripudiata con gentilezza -il che fu un enorme miglioramento rispetto alla società venuta prima del Profeta. Ma si parla di ripudio solo come un atto che può provenire dal maschio.

Questo ha conseguenze non trascurabili. Se un uomo maltratta la moglie questa non può liberarsene facilmente, il ripudio deve ottenere il consenso… di lui! Scatta allora un meccanismo sociale viziato. Difficile che l'uomo acconsenta, visto che il divorzio è per lo meno una seccatura, inoltre non è socialmente onorevole, suscitando malelingue e pettegolezzi (come da noi). Nel caso invece dia l'assenso, ci si inventa qualche responsabilità che ricada sulla donna. Politica del male minore: se riprovazione sociale deve essere, almeno che la moglie sia vista come chi ha sbagliato. E se risulta che la colpa è della moglie, ovvero che è una cattiva moglie, la sua posizione giuridica scade ulteriormente. Come appunto il giudizio della gente su di lei, che è influente anche per quanto riguarda le chances che quella ha poi di rimaritarsi, questione non secondaria: dopo che sei stata vittima di una "mancanza di rispetto", quanto riesci a uscirne a testa alta? Quanto puoi rifarti se sei una divorziata?

C’è un senso unico, uno squilibrio, nel divorzio islamico ma in generale nel matrimonio, che non è mai considerato con attenzione. Le donne che elogiano l’Islam, appartenendovi, e sottovalutano questo punto, o sono islamiche che vivono secondo leggi occidentali (perché convertite, perché immigrate) oppure vivono nella legge islamica ma pensano egoisticamente e ingenuamente che la cosa non è rilevante perché tanto loro marito non potrebbe mai dare loro motivo di volerne divorziare: in ogni caso una forma di egoismo, di miopia. Nota che lo squilibrio che c’è nel matrimonio si riflette anche sul suo inizio, dal momento che non è la donna che sceglie. E anche questo è un punto da non trascurare.

Mi dici poi che ti rotoli dalle risate leggendo che io penso che un imam “rompe le scatole”, come se fosse una mia ingenuità… Gli imam (altra parola che word sottolinea! Si dovrebbe fare una ricerca di antropologia culturale, su questo) gli imam, dicevo, di questi affari, del “come ti devi comportare” si occupano eccome. Non necessariamente con le buone. Se poi malauguratamente vogliono usare le cattive difficile che qualcuno li fermi. Non puoi negare il loro ruolo sociale molto forte e non sempre positivo.

Torniamo alla questione della donna, in relazione a quest'ultimo punto: se nel mondo arabo ci sono stati dei provvedimenti che sono stati portati avanti per tutelare sempre più la donna per quanto riguarda il divorzio, non sono certo stati portati avanti da degli imam. La donna, nella società che essi controllano, è rispettata (almeno secondo criteri intra-islamici) tuttavia “gli uomini sono un gradino più in alto”: parole di Dio per bocca di Muhammad (Sura II, 228). Se si ragiona su questa base è difficile poi che si prenda in considerazione la condizione della donna come qualcosa cui possono essere apportate modifiche. E l’immobilismo non è mai un valore positivo. Rispetto vuol dire non solo garantire una condizione ma anche problematizzarla, metterla in discussione, sapersi chiedere se va bene così o se per caso non si può fare qualcosa di più - però se si è convinti che la condizione è quella perfetta, in quanto stabilita da Dio, non vi si pone mai mente in modo flessibile. La si dà per scontata. Dare per scontato qualcosa non vuol dire prenderlo sul serio.

Un'altra riflessione, sempre in questa vena. Parliamo di chi vive non con addosso il semplice velo, ma completamente coperta. Una donna celata da un niqab è sì tutelata da certe osservazioni pesanti o dal condizionamento esteriore e superficiali da parte della moda. Non corre il rischio di essere come quelle tristi ragazzotte di Salsomaggiore. Ma è anche una donna di cui non puoi vedere se piange, o se è pallida perché sta male, è un essere a cui tu (uomo o donna) non puoi offrire il tuo aiuto - perché non ti accorgi facilmente che ne necessita! Vi rendete conto della distorsione percettiva e quindi delle idee, della sensibilità, che è indotta dalla pratica di coprire le donne dalla testa ai piedi? Come si fa relazionarsi alla donna con consapevolezza se le "donne" sono innanzitutto "quelle di casa mia" e per il resto sono "quell'insieme indistinto di esseri coperti di stoffa che vedi fuori"? Che hanno un viso solo tra le mura di casa, di cui pensi pertanto "se hanno problemi ci penseranno i loro padri o mariti"?. Io trovo che la copertura integrale sia un'arma a doppio taglio, tutela, sì, questo può essere sostenuto con una certa efficacia, ma lascia anche tremendamente sole, e induce all'essere ignorate da parte degli altri. Questo intendevo quando parlavo della "negazione di identità" a causa del burqa o del niqab. Non mi pare un argomento che si possa facilmente liquidare. Oppure, ancora, si presuppone che una donna non starà mai male, non avrà mai un disagio, e che nel caso tutto deve essere risolto e si può risolvere in famiglia? Oppure si dirà "Beh, se una donna ha bisogno di aiuto te lo chiede?". Miseri, egoistici ragionamenti...

Un altro paio di notazioni: se si dice che la donna coprendosi, è protetta e rispettata, questo significa anche che si ha una concezione non lusinghiera del maschio, come se potenzialmente la visione di qualunque porzione di pelle femminile scoperta facesse di lui un bruto, come se l'irrispetto fosse una tendenza irrefrenabile il cui scatenarsi è direttamente proporzionale alla visibilità del corpo femminile. Ben misera visione allora! Oppure la donna è coperta perché sia vista solo da uno, il marito? Quindi nel matrimonio la donna è cosa del marito?

Si noti che sto parlando della copertura totale, la quale però non è univocamente prescritta dal Corano, che ordina di usare dei mantelli (jilbaab - XXXIII, 59), e coprire le "parti belle" (XXIV, 31). Così che poi una tradizione fondamentalista, per andare sul sicuro, (e, sospetto, anche per ingabbiare socialmente la donna), ha pensato bene di coprire tutto. Credo invece che il velo (nonché un abbigliamento sobrio: non sto affatto sostenendo una mise da Salsomaggiore!)sia accettabile, ammesso che portarlo sia frutto di genuina scelta; e dirò di più, una posizione che forse scontenterà alcuni, anche se ho delle forti obiezioni di fondo rispetto alla religione, pragmaticamente lo accetterei anche nelle scuole.

Facciamo infine un esempio concreto di immobilismo nocivo, tornando sull’infibulazione (anche questa parola word la corregge…) della quale tu taci, forse perché sei disinformata. (E se non lo sei vorrei che ti esprimessi al riguardo). E’ una pratica che non ha alcuna base coranica (e che può essere adottata anche dai cristiani di quelle latitudini, ecco perché nel titolo sarebbe stato meglio parlare di società araba in generale). Pratica che consiste nella cucitura o mutilazione dei genitali femminili, effettuata su bambine (quindi è imposta, perché per le bambine non si può parlare di scelta consapevole). Non c’è paragone con la circoncisione (anch’essa peraltro discutibile) in quanto è molto più dolorosa e nociva alla salute - se non vogliamo parlare della vita sessuale anche solo dal punto di vista della meccanica dell'atto riproduttivo e non del piacere. Essa è almeno in alcuni Stati formalmente proibita. La conseguenza è che la si pratica negli ospedali sottobanco, o la effettuano delle praticone di villaggio prive della benché minima nozione di anatomia e di profilassi - ammesso e non concesso che una mutilazione genitale in ambiente antisettico e in anestesia sia accettabile. Questa pratica, lo ripeto, non ha base coranica ma solo una ambigua giustificazione nella tradizione. Ebbene, io scommetto che le iniziative che hanno portato alla proibizione formale inefficace, lo ripeto!) di tale pratica NON sono state portate avanti prevalentemente da degli imam, i quali pure dovrebbero non solo conservare la parola di Dio ma anche distinguerla dalle aggiunte spurie; e tutto questo se proprio vogliamo metterla sul piano della religione senza pensare alle sofferenze delle mutilate, che ovviamente sono ciò che più conta. E sospetto anche che la contrarietà di principio a tale pratica sia pure essa non molto diffusa tra gli imam.

L’argomento è lungi dall’essere esaurito, ma per oggi termino qui sperando di avere chiarificato a sufficienza le mie posizioni e di avere fornito qualche spunto di riflessione in più.

Grazie ancora per avermene dato l’occasione e a presto, anche sul tuo blog.

domenica, settembre 23, 2007

Culi, Copricapo & Crani



La lettura dell’articolo di un nobile e popolare collega di blogosfera (http://salamelik.blogspot.com/2007/09/le-schiave-del-lato-b.html), a noi accomunato a quanto pare dall’amore per gli interventi lunghetti sì, ma argomentati, mi suggerisce riflessioni sull’Islam e le sue implicazioni sociali che, stranamente, abbiamo poco trattato.

Non voglio che le mie righe siano un sostituto dell’articolo citato, che vi invito a leggere. Mi permetto però di riassumerne i passaggi fondamentali, perché sono quelli caratteristici di una certa linea di ragionamento corrente. In due parole: si prende spunto dal recente episodio missitaliota dei giurati che chiedono di valutare più accuratamente il culo (parola lecitissima, inutile usare eufemismi) delle candidate. Da questo si fa una analogia: queste povere ragazze, sono appunto prese per il culo, anzi, peggio, prese come portatrici di culo, valutate in base ad esso solo, sono schiave di un meccanismo di emulazione che privilegia la sola bellezza e svilisce la donna. Si passa poi alla società del velo: la volete criticare in quanto le donne vi sarebbero trattate come schiave - così procede la controcritica - mentre è nella vostra società le donne diventano schiave “del lato B”. Ossia appunto del culo.

Vorrei esordire in leggerezza, sdrammatizzando innanzitutto l’episodio delle natiche. Nulla di nuovo là dove non batte il sole, sapete? L’apprezzamento della bellezza fisica non è “superficiale”, è qualcosa di umano, molto umano. Uno degli attributi di Afrodite era, migliaia di anni fa, e senza che le interessassero provini di sorta, callipigia, ovvero (mettendo da parte pudori da professorini del ginnasio), “dal bel culo”. Vi sono punti del corpo che sono codificati come attraenti, erotici. E dico codificati perché si potrebbe anche osservare che variano di epoca in epoca; ho citato Venere, ma è noto che in altri tempi si son fatti sperticati elogi delle chiome, o delle caviglie (anche se forse si stava pensando ad altro, ma chi può dirlo?). Mi ricordo di avere visto la foto di una vincitrice di molti anni fa (forse la Bosè) di cui si vedevano i peli ascellari, oggidì messi al bando. Mi ricordo quando era ancora originale elogiare il culo di un maschio (e c’è una divertente battuta al proposito, mi pare, in Harry ti presento Sally). Il culo resta forse ancora un po’ più tabuizzato perché ha a che vedere col “sotto”, col “didietro”, con le feci insomma, mentre il seno, essendo in alto e legato al “latte” è più nobile. In realtà, allora, se ce la si vuole prendere con la riduzione di una persona a una parte del corpo, basterebbe Miss Italia in sé che è un concorso di bellezza fisica, basterebbe l’apprezzamento del seno, che però non fa notizia perché è dato per scontato. O anche solo degli occhi: che però la tradizione nobilità in quanto specchio dell'anima, quindi più spirituali. Eppure son parte del corpo quanto il culo! Quindi il comportamento dei giurati è del tutto coerente con il contesto e per nulla nuovo. Lo prendo come un fenomeno umano tra i tanti e per giunta assai banale.

Ma veniamo al parallelo con la società islamica. Ho una esperienza non superficiale con alcuni Paesi islamici. Conosco in particolare l’Egitto in quanto ho avuto il privilegio di potervi insegnare italiano, godendo di un contatto con la cultura locale che non è certo quello del turista che va a arrostirsi le natiche a Sharm. Ho elementi più che discreti di lingua araba letteraria e di dialetto egiziano. Ho letto (in traduzione) il Corano mentre vivevo in un Paese la cui cultura ne è impregnata, con il vantaggio di un riscontro diretto e di poter fare domande ai miei colleghi insegnanti (egiziani). Tutto questo non per parlare di me ma per farvi capire che il mio giudizio non è ricalcato su quel che leggo sui giornali o peggio sui libri della Fallaci.

Vi dirò, allora, che anche gli uomini di laggiù apprezzano le forme, forse ancora più di noi perché non passati attraverso una moda che ha imposto come attraenti le anoressiche. Da dove viene, del resto, la danza del ventre? Dalla Norvegia forse? Nella tradizione araba ci sono dei ben precisi canoni di bellezza che si perpetuano tuttora, e ben lo sanno certe non più giovanissime signore delle nostre latitudini che laggiù vanno, magari colla scusa di un corso di lingue, a riciclarsi un po’, godendo di un rinnovato successo grazie a forme che da noi sarebbero giudicate già oltre misura. Dico tutto questo, si badi bene, non perché ritenga la cosa negativa, ma per sottolineare un’analogia. Inoltre anche il modello occidentale in sé si impone: i video musicali strabordano di cantanti che gorgheggiano i loro “ye habibi”, "amore mio", mentre esibiscono generose scollature. Amr Diab, per vedere la cosa anche dall’altro lato, è un popolarissimo cantante che spicca anche come gran pezzo d’uomo.

Questo, per attenuare la differenza. Ma il vivo della critica è il seguente. Il famoso “velo” che si stracita non è tanto l’oggetto in sé - a parte il fatto che con questo nome si finisce poi con il riferirsi a ben più ampi pezzi di tessuto che non a un semplice copricapo (il famigerato burqa o niqab) versioni che negano l‘identità e danno pure una non indifferente serie di problemi pratici. Ebbene, dicevo, non è il velo in sé, ma il complesso della società che lo esprime. E in quella società è ben difficile parlare di libera scelta da parte della donna.

Esiste una libera scelta, casomai, per una piccolissima minoranza di benestanti, che ora ritornano al velo, per un processo di orgoglioso recupero che è passato, a sua volta, attraverso una fase di abbandono legata ad una occidentalizzazione altrettanto liberamente scelta, ossia emulativa - dove emulazione significa scelta davanti a una gamma di possibilità. Quando ancora l’Occidente era visto come modello positivo, a causa del suo trionfo tecnologico, e vigeva un sentimento di inferiorità, si cercava un modo per prenderne il meglio rimanendo fedeli alle proprie origini culturali. Sviluppo all’egiziana, uso della lingua araba, ma abbandono della galabyya (la veste lunga che ancora oggi nel sud dell’Egitto va per la maggiore). Tutto questo non lo invento io, ma lo descrive ad esempio anche un autore non certo tenero vero l’Occidente contemporaneo, Galal Amin, nei suoi notissimi libri su “Che cosa è successo agli egiziani?”. Il discorso della “libera scelta” vale anche, al giorno d'oggi, per molte musulmane immigrate, che han visto l’alternativa e hanno consapevolmente optato per.

Ma la maggioranza delle donne laggiù, capo scoperto o no - e sto parlando di un Paese noto come moderato!- è ancora ingabbiata in un sistema di sudditanza rispetto al quale non conosce alternativa. Un sistema, per esempio, di matrimoni combinati, in cui la donna è giudicata in base a canoni economici ed estetici - questi ultimi non dissimili da quelli evocati a proposito di Salsomaggiore. E l'uomo altrettanto.

E non mi dilungo poi sulla terribile mutilazione genitale (di cui ancor meno da noi stessi si parla perché la vagina è ancor più tabuizzata delle natiche!), che, riguardando tra l’altro anche le bambine figlie di cristiani (senza uno straccio di giustificazione in alcuna sacra scrittura) consiste in una operazione dolorosissima imposta alle piccole, assolutamente superflua dal punto di vista medico e spesso foriera di malattie. E si parla appunto di bambine, che per ovvi motivi anagrafici certo non scelgono con cognizione di causa. Non mi si facciano analogie col piercing, prego, che tutt'al più è brutto o un po' scemo. Qui si parla di una mutilazione nociva, imposta, che ha alla sua base pregiudizi sulla femmina. Si sente sì di donne che tornano, previa riflessione, al velo, ma di nessuna che recuperi la cucitura dei genitali. Nemmeno il matrimonio combinato pare abbia mai suscitato grandi nostalgie, né per i maschi né per le femmine.

Io compiango le ragazzotte del culo perché si riducono a quello, sì. O ne rido. Ma posso farlo perché so che quella riduzione contrasta, come scelta meno felice, rispetto a una gamma di alternative più nobili e che ritengo meno effimere, aperte nella nostra società a una giovane donna: lo studio, la realizzazione di sé colle doti dell’intelletto, insomma la valorizzazione di quello che sta nel cranio e non su di esso o al suo estremo opposto. Alternative potenziali che non ho visto altrettanto diffuse, in Egitto e altrove. Ci sono, per carità. Ma non così tanto. E la mentalità che esprime - tra le altre cose- anche il velo, la diffusione di quelle alternative non la favorisce affatto. E mi scuso se il discorso è un po’ secco. Inoltre, particolare non trascurabile, il culo a cui quelle ragazze sono ridotte non è scoperto per presunto ordine di Dio. Si può discutere, si possono tentare di convincere le fanciulle in questione a scegliere qualcos'altro - come dimostra l'intervento polemico stesso. E non si incorre in nulla, nessun ostracismo sociale, nessun imam si adombra.

E’ facile, e da faciloni, prendere un’analogia, descrivendo due comportamenti (le donne del velo da una parte, le portatrici di culo dall’altra) e poi dire che il meccanismo è lo stesso e che anzi quelle del culo son ben più schiave, enfatizzando una metafora. Ma è poco onesto e fedele alla complessità dei fatti. Non nascondiamoci dietro a un tenue velo.


Ila-liqa

sabato, settembre 22, 2007

Risposta in Corsivo a Dopobarba


(…assurta a post vero e proprio perché ho preso il suo commento assai sul serio e l’ho voluto sviscerare)

Il post mi aveva fatto "incazzare"

Non c’è bisogno di virgolette, nei post cerco di essere formale ma nei commenti ci si può sbottonare, quindi non mi scandalizzo. E dopo questo inizio faceto entro nel merito…

In buona sostanza trovo scorretto, sotto il profilo dell'onestà intellettuale, tentare di ridicolizzare la spiritualità dei singoli attraverso affermazioni sottintese che non necessitano di motivazione.

Allora, credo che quei singoli col loro modo di parlare siano stati i primi a rendersi ridicoli. E tu dovresti essere il primo a percepirlo in quanto loro correligionario colto e preparato. Vedo infatti che non entri nello specifico e non provi a giustificare le singole frasi criticate, che sono piuttosto indifendibili. Forse, sotto sotto, c’è la tua irritazione, più che per il post, per la magra figura che quei signori ci fanno. Vedi, per esempio io sono liberale, ma se qualcuno dicesse di esserlo altrettanto e poi farfugliasse delle stupidaggini o delle frasi da ignorante semplicemente usando la parola "liberale", "libertà" come condimento, mi arrabbierei con lui. Cfr. uno degli esempi che ho scelto per illustrare il secondo "veleno" nel post successivo a quello qui discusso.

Distinguiamo l’errante e l’errore, come diceva Giovanni XXIII che tu citi. Diciamo anche che per ogni tesi, per ogni teoria ci sono sostenitori più o meno preparati e che nessuno parla mai sempre a titolo di tutti. Ma una tesi, a forza di essere mal sostenuta da individui confusi, si logora. Inoltre la loro confusione può anche essere attribuita a impreparazione individuale, ma secondo me è pure sintomo del fatto che quella stessa posizione è stata diffusa senza ben spiegarla: “ora si può dir Messa in latino, ma ricordate che la lingua non è essenziale”, basterebbe una postilluccia così, ma mai la si ascolta!

C’è una persistente carenza di chiarezza e di spiegazioni nel rivolgersi ai fedeli quando si forniscono loro insegnamenti o si promulgano disposizioni, che è stata lamentata di recente anche da eminenti figure della Chiesa (non da me!) in merito ad altri provvedimenti. Ricordi il Card. Martini?


Teilhard de Chardin scrisse, di quando una volta, in Cina (speditovi da superiori ottusi), gli mancava tutto l’occorrente materiale per la celebrazione eucaristica; si mise allora a pensare che prendeva come altare la Terra intera e come ostia la sua fatica quotidiana. (Mi scuso se cito solo a memoria, quindi approssimativamente, questa riflessione bellissima che a suo tempo mi colpì). Ebbene, da pensieri tanto profondi, da una percezione così vera dell’essenza di tale celebrazione a frasette come “mi piace l’antico”, a elogi che si farebbero come a una tazza di cioccolata calda, ci vedo un baratro spirituale sconfortante. Tu no? (Non per niente T. d. C. fu un outsider della cattolicità…)

Un metodo da Repubblica, appunto; giochini di prestigio.

Guarda, trovare quelle immagini su Repubblica è stato un puro caso. Il quotidiano on line non ne faceva nemmeno un uso polemico. E sono stato sorpreso anche io di quello che quelle persone dicevano, perché confermava un mio sospetto espresso nel nostro più discusso post. Ovvero quello di un approccio estetizzante e quindi superficiale alla Messa. Ho anche premesso che non ritengo quelle persone rappresentative di tutta la Cattolicità…Però una, UNA che mi smentisca! Un fedele che dica netto e reciso “non importa, latino o italiano è la Transustanziazione che conta”. Il signore della Militia Christi parte “bene”, poi fa un desolante richiamo ad un recente film (e tutti gli altri di eguale tema ma con meno sangue? Capiamo la Passione solo perché un regista l’ha rappresentata in modo più audace e grazie agli effetti speciali più sviluppati?).

Vedi, è come con le interviste ai leghisti ai loro raduni… Forse uno ce ne sarà che in fondo è colto e mite, ma quando li senti parlare snocciolano sempre campionari di rozzezze varie in italiano approssimativo.

Se si vuol dire che questa gente "del Vecchio" è stupida e retrograda(...)

Excusatio non petita, accusatio manifesta , potrei dire, tanto per tornare al latino... Ma sì, penso che quella gente sia molto limitata e superficiale e che la loro superficialità sia nociva alla cattolicità e sia sintomo di una impreparazione (azzardo io, eh?!) pilotata. Perché l'impreparazione sulla Messa può anche essere innocua e tutt'al più avere effetti folcloristici, ma poi è un abito mentale a cui ci si abitua e sotto il quale si finiscono per paludare ben altre e più nocive difformità.

Non dico invece che è "retrograda" perché non uso il tempo come metro di giudizio - “più ti riferisci a cose vecchie meno sei da ascoltare”. Infatti la polemica contro la Messa in latino e le reazioni ad essa (non mi stanco di ripeterlo) non è dovuta al fatto che tale Messa o la sua lingua sono “vecchie”. Anche il liberalismo allora, nonostante non vanti duemilaesette candeline, giovane giovane non è!


Parlar male di militia christi sottintendendone le ragioni e voler accomunare a tale giudizio la reintroduzione della liturgia di Giovanni XXIII, cercando di dire che quella riforma è apprezzata da questa gente, è una manovra davvero faziosa.

Beh, chi “cerca di dirlo” ? Lo dicono loro!
Ti dirò poi che io nemmeno la conoscevo, MC, ho pensato lì per lì che fosse una qualche società di beneficenza… Ignoranza mia beata! Poi son rimasto basito nel leggere il loro sito, tant’è vero che ho scritto un post apposito. E tu che ne pensi della loro impostazione? Di quell’impasto ideologico in cui non tutto è propriamente evangelico, del loro lessico fascisteggiante?


Meglio farebbe l'autore a esporsi personalmente nei giudizi perché così, più che ad un liberale assomiglia ad un democristiano tipo Rosi Bindi, una furbizia di tipo Prodiano, appunto, alla quale è difficile rispondere perché mira non al confronto ma a far prevalere il punto di vista dell'autore, una prepotenza, appunto.

Non raccolgo il paragone agli esimi uomini politici che menzioni. Io ho messo un video e ho premesso che non è una statistica, non mi sembra di avere usato chissà quali sottili sotterfugi… Casomai il post era alquanto ellittico perché nasceva come complementare rispetto ad uno precedente.

Esponiti tu, piuttosto! Dimmi che quei signori fanno (almeno) tenerezza, che si esprimono con grande e sconfortante confusione… Esprimiti sulla Militia Christi…

Con stima.

mercoledì, settembre 19, 2007

La Forma Dell’Acqua



ovvero
Dell’Irritazione per un Certo Tipo di Critica Sovente Mossa a Beppe Grillo

Visto che non vogliamo parlare solo di vecchie statue come Marx o di bizzarre bestie come la Militia Christi, mi pare sia il caso di spendere due parole sull’exploit di Beppe Grillo. O meglio sulle reazioni che ha suscitato.

Beppe Grillo col suo V-Day si può analizzare in tanti modi. Io e Beiderbecke ne discutevamo l’altro giorno - non tutte le analisi hanno come risultato un giudizio positivo. Forse sarebbe il caso di dedicargli un post ben meditato, nei prossimi tempi.

C’è però una critica dalla quale dissento fin da subito. Indipendentemente da che cosa si pensi, nello specifico, delle proposte dell’arzillo genovese, del suo stile, della sua efficacia, delle sue prospettive e tutto il resto, che cosa mai vuol dire il commento “La politica si fa all’interno delle istituzioni” con cui ultimamente si troncano i discorsi su di lui? Lo abbiamo sentito anche oggi dal Senatore a Vita Ciampi, che tiene dietro a Napolitano e a vari altri. E c’è da scommetterci che lo risentiremo, se non altro perché quegli augusti vegliardi colla loro autorevolezza destano sempre fenomeni imitativi.

Ebbene, scusate ma per me è un gioco di parole. Le istituzioni sono strutture che di volta in volta sono riempite da chi al potere assurge. Sono i contenitori entro cui si mette l’acqua. E’ vero che Grillo auspica anche dei mutamenti strutturali, ma non mi pare in modo diverso da quanto abbiano fatto o facciano altri partiti politici, tanto in campagna elettorale (come quella in cui è Grillo) quanto una volta al governo. Lo facevano o come lui, o promuovendo mutamenti ancor più grandi. Solo si esprimevano in modo più elegante, appartenevano alla casta (tanto per adottare un termine che mi sembra condivisibile) e per loro non aprirono bocca Presidenti in carica ed emeriti. Cane non mangia carne di cane.

Che tipo di acqua sia Grillo ognuno lo giudichi come vuole: se acqua fresca, se acqua ragia, lo dirà comunque il tempo. Ma enfatizzare che voglia cambiare i contenitori (soprattutto se non si considerano solo i temi del V-Day, ma per intero tutti quelli sollevati in vari anni) mi sembra una riduzione intenzionale e retorica.

In fondo, il termine “istituzioni” è un discussion stopper - è come i morti, di cui non si può dir male (e invece si può benissimo). Tutto questo cianciare di istituzioni e di “luoghi tradizionali” della politica in cui “si deve rimanere” è solo un modo per dire “lasciate che ci rimaniamo noi!”. E scusate se sono osservazioni secche ed elementari.

Valete.

martedì, settembre 18, 2007

De Partibus Animalium [1]. La Militia Christi



Da cosa nasce cosa. Guardando il filmato sulla ritrovata messa in latino che ho commentato qualche giorno fa mi ha incuriosito la menzione, da parte di un suo affiliato, della Militia Christi (un soldato, dunque, a dispetto dell’aria bonacciona). Poiché da costui proveniva un consiglio tanto sgangherato come quello di capire la Passione di Cristo attraverso l’omonimo film di Mel Gibson (con buona pace di altri autorevoli filmoni sul tema), ho voluto scoprire in quale alveo e da quale fonte scorresse mai un tal fiume di dottrina.

Detto, fatto: mi sono letto testi e guardato foto del sito http://www.militiachristi.it/ trovandovi cose bastevoli a sostanziare un post con cui inaugurare una nuova serie polemica, che intitoleremo De Partibus Animalium. Serie dedicata alla individuazione e dissezione degli strani ibridi ideologici, bizzarre chimere o pericolosi dinosauri che siano, incarnati da singoli o da gruppi i quali, con la loro accozzaglia di pezzi male assemblati e che dovrebbero essere estinti da tempo, quasi fan sembrare nobili creature i grandi partiti.

Ad Sidera non vuole surrogare è wiki, quindi non starò a farvi un riassunto particolareggiato della storia della MC, e dei suoi capisaldi ideologici, che anzi vi invito a leggere direttamente. Posso in breve descriverne lo spirito come una ventata di ideologia ancor peggiore di quella del Concordato. Quello fu stipulato da un Mussolini perfettamente consapevole del suo valore strumentale (“Essendo d’accordo col Papa si domina ancora la coscienza di 100 milioni di uomini” - Discorso alla Camera del 5 maggio 1929) mentre qui ci si riferisce, con entusiastica viscerale adesione, alla sovranità di Cristo che si dovrebbe tradurre, da dominio del cuore del singolo (cf. il vessillo della MC), in (auspicio di) dominio politico esercitato da colui che del Nazareno sarebbe il vicario in terra - a partire, ça va sans dire, da Roma caput mundi e dall’Italia. In questo sito, in cui re si scrive ancora, deamicisianamente, con la maiuscola (ma “sì” senza accento, a giudicare dagli striscioni), la parola si riferisce di preferenza al Romano Pontefice.

Strani strabismi e miscugli emergono. Nonostante si voglia sottolineare l’estraneità di Pio XII alla persecuzione degli ebrei (http://www.militiachristi.it/Riflessioni_e_Formazione_art._7.hm), si ha poi una convergenza di fatto con il (neo)nazifascismo: nello stile, a partire dal gotico del nome, nel lessico (“onore ai caduti pontifici”), nei temi: no veemente a coppie di fatto, immigrazione, aborto e così via, il tutto presentato come costitutivo di una minaccia imminente cui si opporrebbe appunto la militanza nell’Armata dell’Unto. Chi avesse voglia di fare un po’ di spazzaturistica comparata potrebbe infatti rilevare le enormi somiglianze con Forza Nuova (http://www.forzanuova.org/), ad esempio l’ossessione antimassonica che richiama quella analoga del Benito (il complotto pluto-giudaico-massonico…).

Apprendiamo poi su wiki che il movimento si dichiara “Cattolico ma non antiebraico”. I buoni cattolici esenti da antisemitismo proveranno, nel leggere questa specificazione, quel che hanno provato generazioni di donne non bionde nell’ascoltare di Marina, “mora ma carina” (che in realtà è una finissima citazione scritturale).

Altre meraviglie. Si insiste che i capisaldi della fede sono perfettamente afferrabili dal senso comune, e poi si cita una qualcosa di evidente e universale e sempre esistito come l’infallibilità papale. Non si può dire però che il sito della MC sia superficiale: qui le cose si argomentano e si spiegano fin nei minimi particolari… Impariamo ad esempio da una nota a un testo di un certo spessore (http://www.militiachristi.it/Riflessioni_e_Formazione_art._6.htm) che “La gnoseologia è quella branchia della filosofia che studia la conoscenza umana.” Per tacer delle pinne. Con questa notazione termino dunque in perfetta coerenza tematica questo primo articolo del triste bestiario, per il quale si accettano suggerimenti e candidature.

Valete.

domenica, settembre 16, 2007

Tre Veleni Mortali




Le posizioni che a noi piace difendere, a forza d’argomenti, e che vorremmo vedere realizzate, sono note. Vorrei ora, ragionando su di un piano più generale, individuare tre atteggiamenti o tre disposizioni (leggetene, poi chiamateli come volete) che corrispondono a tre letali impedimenti a qualunque discussione, a qualunque dialogo, a qualunque possibilità di cambiamento. A prescindere dal fatto che difendiate posizioni simili alle nostre o meno, spero che vi accorgerete che non fanno bene a nessuno (tranne a chi se ne serva intenzionalmente, diffondendoli per difendere i propri privilegi) e che sarete d'accordo con l’etichetta "tre veleni". E sono purtroppo veleni assai diffusi.


Primo veleno: "Son tutte parole"


Questo atteggiamento si sposa bene con la pigrizia e si ritrova in genere in chi si sente insicuro con le proprie conoscenze, o abilità dialettiche, oppure è rimasto deluso da promesse tradite (infatti si riscontra spesso negli elettori di Berlusconi, ed è quindi un sintomo da cui si individua nonostante le reticenze precedente voto dato a Forza Italia. Ma fra un po' le cose si confonderanno).

Si tratta della diffidenza nei confronti della discussione e della comunicazione. Quando si avverte anche solo un po’ di correttezza nel ragionamento altrui lo si bolla subito come un prodotto verbale sì di buona fattura, ma proprio per questo da considerare con sospetto o come inefficace: "son tutte parole", appunto.

Eh no. Le parole, lo sappiamo, sono quanto di più inflazionato abbiamo. Ma sono anche tutto quello che abbiamo, perché la nostra ragione è discorsiva (non voglio imbarcarmi in nessuna grande tesi filosofica, ma avete mai notato che gli animali non discutono?). Di parole sono fatti tanto il Mein Kampf e il Libro Rosso quanto la Divina Commedia e la Costituzione. Le parole non sono solo quello che sentiamo, ma quello che pensiamo. E che poi facciamo. Non si deve dimenticare questa relazione diretta. Chi diffida delle parole o vuole passare ad altri mezzi oppure disprezza l’unico strumento analitico e costruttivo che abbiamo in molte questioni (in particolare quelle etiche). Chi le sprezzasse perché teme raggiri verbali sprezza in realtà la propria ragione ed è insicuro di sé. Chi rinuncerebbe ai polmoni per timore di respirare qualcosa di puzzolente o persino di tossico?

Secondo veleno: L’ignoranza immobile

Non sa servirsi della ragione non solo chi ne rifiuta l’uso ma anche chi non sa sostanziarlo. Molti sanno difendere le proprie posizioni non tanto argomentandole quanto facendo un uso povero delle parole. Ovvero usandole sulla base di passaggi dati per scontati, di facili equazioni, di slogan. Su quelli si attestano e non v’è nulla che li smuova, nemmeno se "smuovere" significa condurre una difesa, scendere nello spazio delle ragioni e cercar definizioni, e sostenere una tesi. Ripetono e tutt'al più cambiano l'ordine dei termini, con triste e inane ars combinatoria.

Tre esempi. (1) Inutile che qualcuno mi dica che l’omosessualità è "contro natura", se poi non mi sa dire che cosa "natura" significa. [NB: sembra facile!] (2) Inutile che qualcuno si dichiari "liberale" se non ha un corrispondente concetto di "libertà", ovvero qualcosa che non sia solo un istintivo apprezzamento per la parola "libertà", che ovviamente, "suona bene" (come "democrazia", infatti ci si affretta sempre a farcirne i nomi di qualunque partito). [NB: sembra facile!] (3) Inutile che qualcuno si dichiari "cattolico" se poi non sa dirmi i dogmi in cui per definizione un cattolico deve credere (e che lo differenziano da un protestante, ad esempio, o da un ortodosso). Come l’Immacolata Concezione. O l’Assunzione. [NB: sembra facile!]

E così via.

Terzo veleno: Il gioco di Pollyanna

Non avrete dimenticato Pollyanna, zuccherosa protagonista di più d’un libro e, soprattutto, d’un film Disney per famiglie. Costei, alla quale od alle cui conoscenze capitavano sventure più o meno gravi, trovava sempre un modo per consolarsi, pensando al peggio che avrebbe potuto verificarsi e che non s’era verificato. Desiderando ad esempio ricevere una bambola per posta e ottenendo invece, per uno scambio, un paio di stampelle, la fanciullina si consolava della delusione pensando al fatto che di quelle stampelle non aveva bisogno. Questo modo di vedere le cose era chiamato "Il gioco della felicità". Ebbene, a quanto pare alla piccola non passava per la biondocrinita testolina, forse, che avrebbe comunque potuto ottenere la sua sospirata bambola se avesse sporto reclamo. O, ancor meglio, che avrebbe provato felicità anche regalando quelle stampelle a un bisognoso.

Veniamo a noi: molte volte si sente dire che, in fondo, si sta bene, che non c’è da lamentarsi. D’accordo, sì. Nessuno dichiara che siamo con l’acqua alla gola e che in Italia si sta male. Abbiamo anche il superfluo e forse di più. Ma appunto, in primo luogo, fa rabbia che a tanto benessere non corrisponda progresso spirituale (anche un cattolico, mutatis mutandis, potrebbe sottoscrivere questa affermazione!) o diffusione del sapere, o generosità. Inoltre spesso non ci si rende conto di quanto si potrebbe migliorare. Stare meglio di qualcun altro non è un buon motivo per pensare di essere giunti alla perfezione. Da notare che quella argomentazione ("perché battersi per la legge X? In fondo non stiamo mica male") è spesso e volentieri accampata da chi riconosce che la legge X sì, apporterebbe qualche beneficio a qualcuno, ma crede in prima persona di non averne bisogno, o di non doverne avere mai bisogno in futuro, così che questo veleno è un diretto distillato della miopia intellettuale, dell’egoismo e della pigrizia.

Valete.

la religione, il liberalismo e l'intolleranza



Ogni volta che discuto di religione, chiesa e modo di vivere la religione con un amico cattolico, mi cascano mediamente le braccia: non c'è nulla di più inutile e frustrante che cercare di mostrare certe cose a chi graniticamente considera alcuni argomenti come intoccabili e non lascia spazio ad alcuna dialettica. Ci tengo a premettere che io NON sono anticlericale, credo fermamente nella libertà di professare il proprio culto, qualunque esso sia nella maniera che si preferisce. Credo anche nella libera manifestazione del pensiero, cardine della società occidentale nata dal liberalismo classico, e quindi ritengo che sia un diritto sacrosanto professare un'idea quanto dire tutto il male possibile su di essa.

In quanto liberale, io sono un convinto assertore della laicità intesa come libertà (sempre entro i limiti inderogabili del c.d. primicipio del "neminem laedere") di non essere obbligati a sottostare ad imperativi morali ed a condotte di vita che non si condividono.
Quindi quando parlo in modo pesantemente critico di una religione, specie di quelle religioni che a mio avviso oggi stanno peggiorando a livello globale la qualità della vita nel mondo (l'islam in primis, poi a seguire il cattolicesimo), mi limito a contestare la loro pervasività, la loro volontà costante di volere imporre su di tutti i propri precetti morali. Un avveduto credente potrà replicare: "Certo, per me i precetti religiosi sono espressione della verità assoluta, quindi - in quanto assoluta - per definizione tutti sono ad essa assoggettabili, in altre parole essa è il bene per tutti e quindi penso che tutti debbano sottostarvi". Innanzitutto magari tutti rispondesssero con questo tenore..eppoi si potrebbe facilmente replicare loro che, se nulla vieta di fare assugere alcuni precetti morali a "massimo bene per l'umanità intera" del resto nulla impone che tale verità sia resa cogente: che sia imposta per via legislativa (temi bioetici cattolici in Italia) o peggio con la violenza (vedi islam radicale e le continue minacce e violenze da esso perpetrate ai danni dell'occidente e dei musulmani moderati).

E' la scissione tra morale e diritto che manca a queste concezioni della vita, la scissione tra peccato e reato. Sarebbe lungo qui ripercorrere il serrato interccio che lega diritto e morale lungo le complesse direttrici della filosofia, della sociologia e la teoria del diritto. Mi basta semplicemente ricordare che quello che mi ha sempre fatto ritenere il pensiero liberale come il migliore tra quelli attualmente elaborati è il fornire linee guida, shapes of mind più che imperativi dettagliati. In tutti i pensieri totalizzanti (tra i quali entrano a pieno titolo anche le religioni atee, come il comunismo ed i vari nazionalismi totalitari) la vita di un individuo è strettamente irregimentata in una serie di diktat, che nel loro complesso compongono una concezione secondo la quale l'individuo stesso finisce per dissolversi, nella massa dei fedeli o nelle classi sociali.

Nel pensiero liberale avviene il percorso inverso: si parte da un principio di fondo, il neminem laedere, la libertà totale finchè non si danneggiano gli altri, per poi fornire la specificazione di esso nei vari campi della vita (economico, sociale, etc.) ed eventualmente apportarvi alcuni correttivi minimi. Ma la concezione di base che pervade la vita di un liberale è un'ampio e residuale spazio per la libertà del singolo. Per questo il liberalismo è tolleranza e il pensiero confessionale è tendenzialmente imposizione. Brutalmente, il liberalismo dice: "se non crei danno ad alcuno tu sei libero di vivere come vuoi"; i pensieri totalizzanti al contrario partono negando questa premessa e dicono: "questi sono i confini entro i quali devi vivere e muoverti: entro di essi e solo entro di essi sei libero". Questi ultimi elevano rozzamente la morale a diritto ("cio che è infinitamente buono per noi DEVE esserlo per tutti") il liberalismo eleva a diritto una generale libertà e rende cogente solo ciò che la viola o che la mette a rischio.

Intendiamoci poi, c'è a mio avviso una minoranza di credenti che comprende questo complesso rapporto tra diritto e morale di matrice liberale e che si rende perfettamente conto che è per merito di esso che l'occidente negli ultimi secoli è progredito migliorando la qualità della vita in modo impensabile agli albori dell'età moderna. E' assolutamente possibile, in altri termini, essere credenti e liberali: il liberalismo NON postula mai l'ateismo. Il liberalismo invece postula SEMPRE la laicità, ovvero la facoltà accordata agli altri di poter vivere la propria vita (specie quella privata) come meglio credono, sempre finché non creano danno ad altri. Quando la maggior parte dei cattolici e degli islamici interiorizzerà questo semplice concetto allora anche l'italia ed i paesi islamici potranno assurgere ad un livello di libertà sociale ed economica ed a una mentalità tollerante propria di paesi, spesso cristiani, in cui però la separazione tra sacro e profano, tra stato e chiesa, è da sempre concepita come una componente essenziale della qualità della vita.
Saluti