domenica, maggio 27, 2007

Malignità di fine giornata


Alla luce di quanto avvenuto a Mosca lo capirà forse Luxuria quanto è controproducente ispirarsi ancora alla grande madre russia?
Converrà forse ricordarle che pestaggi ben peggiori ed omicidi erano riservati ai gay durante il regime comunista senza nemmeno la possibilità di divulgarli via etere?
Converrà parimenti ricordarle che i gay quando non ernao pestati nell'URSS erano spesso internati in manicomio?

Chissà che forse questa brutta esperienza faccia rinsavire qualche sinistrato cronico...

Dalla Russia con orrore


Guarda qui.

Ironicamente, da un lato conforta sapere che c'è un paese che a omofobia è messo peggio dell'Italia.
In realtà non si può che inorridire al pensiero delle angherie subite (e subende...) dai nostri parlamentari, tra i quali Marco Cappato e Vladimir Luxuria, che sono stati malmenati ed arrestati dalla polizia Russa, di certo non famosa per i suoi metodi civili e rispettosi della dignità di chi capita nelle sue grinfie.
Con la speranza che alla fine non succeda nulla di ancora più grave di quanto è già avvenuto, esprimo la solidarietà a tutti i manifestanti picchiati ed arrestati.
Non c'è che dire, quanto a barbarie la madre Russia non si smentisce mai.

forza vesuvio


Guarda
Ammira
Rimira


L'ennesima conferma: Napoli non ha speranze, è la Baghdad italiana. Con una pericolosità pari alle più malfamate bidonville sudamericane credo che nemmeno leggi marziali e coprifuochi riuscirebbero a migliorare la situazione. Sarò forse pessimista, ma per la "questione napoletana" davvero non vedo vie d'uscita.
Mala tempora currunt.

domenica, maggio 20, 2007

Di tesoretto, pubblico impiego ed altre amenità





Se ne parla da mesi ormai, tutti lo agognano, tutti ne chiedono una parte. Il cosiddetto "tesoretto" accumulato da Prodi è oggetto delle brame dei sindacati, che vorrebbero destinarlo al rialzo degli stipendi dei dipendenti pubblici, di chi, come D'Alema, che vorrebbe fosse usato per aumentare le pensioni più basse, e di chi, come Rutelli sembra volere (anche in questo caso con una buona dose di demagogia) spenderlo per ridurre l'ICI sulla prima casa, e chi più ne ha più ne metta. C'è un tale caos, talmente tante voci che si sovrappongono, tante parti che rivendicano, che si è pensato bene di indire un vertice al riguardo .
Ora, è opportuno fare qualche considerazione su quale sia la destinazione migliore che a quei soldi generosamente sottratti ai contribuenti dovrebbe esere impressa.


In primo luogo le proposte dei sindacati (come quasi sempre accade) non possono essere accolte: il pubblico impiego non ha assolutamente bisogno di nuove elargizioni una tantum, inadatte a coprire un aumento che "una tantum" non sarebbe. inoltre, se si volesse davvero dare una sistemazione al settore pubblico, bisognerebbe prima imprimere a tale settore una profonda riorganizzazione, che inevitabilmente dovrebbe toccare anche il regime dei licenziamenti e più in generale l'apparato sanzionatorio, a tutt'oggi inefficace o pressoché inesistente. Bisognerebbe poi far capire a Epifani & c. che il settore pubblico italiano è totalmente privo di mobilità, anzi è proprio il simbolo dell'immobilismo, in quanto consente a dipendenti inetti di perpetuare la loro incapacità e inefficienza per anni, e ricordiamoci che è proprio questa grande massa di incapaci intoccabili la principale responsabile del precariato di cui si lamentano in paricolar modo i dipendenti giovani: se non si può minimamente riorganizzare la struttura costosa ed inefficiente, la maniera migliore di contenere i costi è lasciare ad oltranza i nuovi dipendenti assunti entro un regime contrattuale che all'ammnistrazione costi zero e che è rescindibile a piacimento.
Dal momento che i sindacati italiani non sarebbero disposti a prendere in considerazione nemmeno per un momento simili questioni, il tesoretto è meglio che se lo scordino.


Anche l'aumento delle pensioni suggerito da D'Alema, al di là della carica demagogica di una simile misura che gioverebbe certamente al governo i crisi di consensi, è meglio non sia posto in essere. Abbiamo un sistema pensionistico che ci costa in modo esorbitante. Anche in questo caso il tesoretto, che dovrebbe ammontare a circa 2,5 miliardi di euro, non porterebbe grandi benefici ai pensionati e così sarebbe dissipato senza apportare beneficio alcuno all'economia del paese.


In linea di principio la soluzione più logica ed equa sarebbe restituirli ai contribuenti: da voi gli ho presi, a voi li rendo, anche in forma di riduzione dell'ICI. Non sarebbe una cattiva idea e sarebbe la soluzione più ortodossa dal punto di vista libertario, però se oggi si riduce l'ICI, si crea una minore entrata futura per gli enti locali, e quindi si deve contestualmente anche concepire misure per compensare questa minore entrata, o creandone di nuove sempre di natura fiscale (e queste non sono mai auspicabili), oppure preventivando già dei tagli di spesa. Altrimenti il tesoretto altro non farà che creare un vulnus per le finanze pubbliche.


Alla luce di tutto ciò credo che questo piccolo malloppo debba essere usato per un investimento, ossia per una misura che consenta in un futuro piuttosto prossimo al sistema economico italiano di raccoglierne i frutti. Quindi o si riduce il debito pubblico, come suggerisce Padoa Schioppa, e così facendo si potrebbe iniziare ad allentare un giogo che da sempre grava sulle finanze dello Stato, oppure - e forse questo sarebbe ancora più auspicabile - sarebbe utile impiegarlo per la riduzione del famigerato cuneo fiscale, allentando così la morsa dell'erario sulle imprese di casa nostra, che sono tra le più oberate di tutto il mondo occidentale. Così facendo si incentiverebbero gli investimenti privati, le assunzioni e finalmente si incrementerebbe la competitività e si farebbe crescere l'economia. Tutto ciò sarebbe una mossa saggia, ma temo che in questo clima di sopravvivienza giornaliera il governo baderà più alla popolarità che alla reale utilità del provvedimento da prendersi. Vedremo e speriamo.

domenica, maggio 13, 2007

Dell’elogio della famiglia tradizionale su base evangelica.



Sono nato e cresciuto in una famiglia tradizionale. Riconoscere il patrimonio di benefici affettivi e materiali che ne ho ricavato e che tuttora mi accompagna è, ancorché su base soggettiva e quindi limitata, il primo e più grande elogio che di tale istituzione posso pronunciare. Non posso quindi che rallegrarmi qualora un governo prenda misure legislative atte a favorire la possibilità che altre persone possano godere di ciò che mi è toccato. Elogio significa peraltro apprezzamento dei caratteri positivi: apprezzamento da cui scaturisce desiderio di tutela, e non è inteso come attacco ad altre possibili forme di unione che potrebbero ottenere riconoscimento legale, avvertite come nemiche o almeno concorrenti.

Mi sono allora chiesto se e quanto sia possibile, oltre a questo mio elogio istintivo e di cuore (ma anche assai concreto), costruirne uno su altra base. E, nella fattispecie, ho preso ispirazione da una ricorrente riflessione pubblica di Benedetto XVI secondo la quale la nascita di Gesù in una famiglia è segno di priorità di tale istituzione, priorità che è dunque dovere religioso ‘difendere’ (e qui pongo virgolette, distintive e non dispregiative, perché ‘difesa’ in termini vaticani correnti è intesa in realtà come critica a modelli coesistenti di unione tra nuclei ristretti persone basati sugli affetti e sulla condivisione dei beni, e non elogio della famiglia in sé e per sé).

Avrebbe, innanzitutto, Gesù, potuto presentarsi in altre circostanze? Difficile pensarlo. Già l’uscire dal ventre di una donna che non aveva conosciuto uomo [Mt 1:18-25; Lc 1: 26-38] (posto ovviamente che si voglia credere a questo dogma, basato su di una specifica interpretazione di passi biblici) costituì una enorme anomalia. Se Gesù fosse sceso dal cielo su di un carro di fuoco (mezzo di trasporto non sconosciuto a Dio [2Re 2:11]) il suo esordio sarebbe stato assai più spettacolare, ma l’aspetto umano della sua venuta sarebbe stato decisamente in ombra; se fosse arrivato come un viandante misterioso e straniero, di non individuabili natali, e magari con tratti somatici insoliti, sarebbe stato difficile accettarlo quel tanto da cominciare ad ascoltarlo. Non c’erano allora molte alternative.

Ma poi, in che tipo di famiglia nacque Gesù? Per saperlo dobbiamo conoscere l’ordinamento famigliare giudaico del tempo. Per sapere che cosa era una famiglia al Suo tempo e come funzionava dobbiamo impegnarci a leggere i passi del Vecchio Testamento dedicati alle regole che la riguardano, ed in particolare il Levitico. Passi contenenti quella Legge di cui Gesù non intendeva cambiare di un punto [Mt 5: 17-19]. Ebbene, non ci piacerebbe quel tipo di famiglia - e comunque, poco aveva a che vedere con la famiglia tradizionale che io ho appena elogiato. Non ci piacerebbe ad esempio il ruolo sottomesso della donna, sottoposta a un enorme carico di regole di purificazione [Lv 12-15]. Donna come proprietà; ricorderete infatti né lei né la roba d’altri sono da desiderare, con una parificazione implicita [Es 20:17]. Infine: saremmo piuttosto perplessi se conoscessimo l’età a cui Maria, in ottemperanza a tale ordine sociale, fu sposa di Giuseppe: un’età alla quale nella nostra ‘famiglia tradizionale’ si è piuttosto figlia piccola che coniuge. Ben diversa, dunque, la famiglia di Gesù dalla mia.

E quale fu il rapporto di Gesù con la Sua famiglia? Con buona pace di secoli di meravigliose rappresentazioni artistiche della ‘Sacra famiglia’, non è dato saperlo con chiarezza, puramente sulla base dei Vangeli. Avendo cominciato il suo ministero non adolescente si può presupporre un lungo periodo di vita insieme a Maria, e al misterioso, buon Giuseppe (menzionato in un numero esiguo di passi biblici [Mt 1:18-25; Mt 2; LC 2]: alla sua figura è la pietà popolare che ha molto aggiunto). Gesù a dodici anni scompare dalla vista dei genitori e dà loro un grande spavento: ritrovato dopo tre giorni a Gerusalemme a discutere con sorprendente (divina!) precocità la legge risponde loro che appunto nella casa del Padre Lui deve stare [Lc 2:41-50]; e non intende il povero Giuseppe. In età adulta esorta sì (sulla scorta di quella sopra citata Legge) ad onorare il padre e la madre [Mt 19:19; Mr 10:19; Lc 18:20], ma poi la parola ‘Padre’ è da lui usata piuttosto a proposito di quello Celeste e comune all'umanità.

Dio attraverso Gesù porta un cuore nuovo a chi in Egli creda [Ez 36:26]. Questo cuore nuovo non batte necessariamente in sintonia con quello dei cari: la famiglia (comunque essa sia intesa) non è presentata come veicolo esclusivo della Fede. Al contrario: la conversione porta persino divisione: tra padre e figlio, tra madre e figlia [Mt 10:34-37; Lc 12: 49-53]. A un proselite che tentenna e gli chiede, per seguirlo, di aspettare la sepoltura del proprio padre (ovvero: che il padre sia morto, perché il suo allontanamento non gli sia di peso) Gesù ingiunge invece di non avere esitazioni: ‘Lasciate che i morti seppelliscano i loro morti’ [Mt 8:21-22; Lc 9: 59-60]. L’opera di conversione è affidata poi al composito e strano gruppo (strano perché difficilissimo da inquadrare anche con categorie sociologiche odierne) degli Apostoli. In croce invita uno di loro a prendere Maria come propria madre [Gv 19:25-27]: un’ultima esortazione spaesante, che mescola quel nucleo famigliare in cui Egli è cresciuto e quel gruppo in cui si è svolto il suo insegnamento e che ora deve propagare. E l’amore a proposito del quale Gesù ha le parole più belle è quello amicale [Gv 15:13-17].

Quanto alle domande dirette sulla ‘famiglia tradizionale’ (ossia, ancora una volta: quella giudaica) Gesù risponde che l’uomo non deve osare dividere ciò che Dio ha unito [Mt 19:3-9; Mc 10: 1-12]. Se, con un’ipersemplificazione di duemila anni evoluzione istituzionale e affettiva, facciamo valere un’ equivalenza tra la famiglia di cui Egli parlava e quella, cristiana, contemporanea, scopriamo, in riferimento alla Chiesa Cattolica qualcosa di sgradevole: ovvero, riconosciamo nelle pratiche di annullamento del matrimonio messe in atto dalla Sacra Rota la scissione di quel tipo di legame. Scissione ampliamente applicata; ne sanno qualcosa anche molti deputati che oggi si ergono a paladini della ‘famiglia tradizionale’.

La ‘famiglia tradizionale’ contemporanea (e quale, poi? La mia è stata già diversa da quella in cui è cresciuto mio padre, e da quella del mio bisnonno) è sede di insegnamento di valori, e fonte di stabilità affettiva e materiale. Tuttavia, non è un veicolo necessario della Fede: si dà il caso tanto di allontanamento dalla Fede dovuto alla nausea ingenerata dalle pratiche famigliari, quanto di conversioni a dispetto dell’insegnamento di impronta atea avuto appunto in famiglia; c’è poi anche chi cresce cattolico (o almeno: cristiano) e solo dopo lo diventa. Quel ‘cuore nuovo’ è un dono il cui percorso di spedizione è misterioso.

La riflessione di Benedetto XVI contiene allora, temo, un invito a trattare affrettatamente il Vangelo e la Bibbia tutta, moderandone quanto meno la carica di mistero, e addormentando lo sforzo di comprensione. Da cristiano che voglia ‘difendere’ la ‘famiglia tradizionale’ sarebbe piuttosto opportuno pregare Dio che ci conceda senno sufficiente ad argomentare un buon elogio su base affettiva e razionale (termini non in contraddizione), invece che procedere allo stiracchiamento frettoloso delle Sacre Scritture. Nella stessa vena, altrimenti, si potrebbe ad esempio sostenere che, avendo parlato Dio un’unica volta per bocca di un animale, l’asina di Balaam [Nm 22:28], questo indica chiaramente la superiorità di tale bestiola, nonché il suo ruolo privilegiato nella trasmissione della Parola del Padre. Il che riesce, con tutto il rispetto e l’affetto per i somari, difficile credere. Ammetto però che sarebbe bello vedere parte del clero impiegata nell’allevamento di onagri: lasciar perdere la cura delle anime e crescerne a migliaia, nell‘attesa che uno di loro parli con ispirata favella. Dobbiamo aspettarci prima o poi un Donkey Day? Valete.

mercoledì, maggio 09, 2007

Della bizzarra carica di Senatore a Vita



Quando la Costituzione fu elaborata pare che balenasse, tra le altre, l’idea di fondare la Repubblica Italiana sullo Spirito. Da quando ci siamo resi conto che quel testo non è un immutabile e divino Corano, ci è familiare chiederci (un bell’esercizio di storia con i “se”), che cosa sarebbe accaduto e che cosa accadrebbe mutandone delle parti. Il mio lato filosofico e idealista è stato sempre stuzzicato dall’idea di quello che potrebbe essere stata, ed essere oggi dunque l’Italia, se l’incipit delle sue regole di gioco fosse stato incentrato, appunto, sullo Spirito.

Meno filosoficamente, si discute di solito di quelle modifiche i cui effetti appaiono più rilevanti per l’attualità. Ultimamente si è messa in dubbio l’istituzione dei Senatori a Vita. Ripassiamo innanzitutto le regole vigenti: si tratta di coloro i quali hanno rivestito la carica di Presidente della Repubblica (art. 59, comma 1) oppure di quelle personalità nominate, fino ad un numero di cinque, dal Presidente stesso (art. 59, comma 2) Nominate in base a che cosa? Recitiamo: per aver "illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario" [ibidem] - non mi addentro poi nella questione della lettura ristretta o morbida del punto, basti sapere che questi signori ci sono.

Se oggi sui Senatori a Vita si intrecciano ragionamenti, auspicandone, nella fattispecie, la cancellazione, è per motivi di interesse e non per puro esercizio ipotetico astratto. Vuole il caso infatti, che il governo attuale si sia trovato a reggersi sul voto di queste figure; voto al quale hanno avuto accesso per la via suddetta e non per quella, valida per tutti i restanti loro colleghi, dell’elezione popolare - il che ha irritato una opposizione che, pur avendo avuto davanti a sé lo stesso destino, sulla scarsità dei voti in Senato ora fa leva. Così, suoi rancorosi esponenti, che in altre temperie magari a quegli scranni avrebbero aspirato o avrebbero voluto vedere elevate figure a loro care (come nel caso Fallaci), ora vanno agitando progetti di abolizione.

Ma noi, per le nostre riflessioni, solleviamoci un istante dall’attualità, anche se l’abbiamo presa a spunto. I governi, infatti, cadranno e si avvicenderanno. Moriranno questi Senatori a Vita (sì, anche Andreotti) e se ne faranno altri. Un giorno, se ci sarà dato, vedremo immagini di repertorio delle baruffe di oggi, ci sembreranno cosa lontana e datata e ne rideremo con i nostri figli. Non mi interessa, insomma, discutere questo specifico supporto di questi specifici senatori a vita a questo governo (fatto su cui pure ho un’opinione articolata - e poco benevola). Pur non possedendo la finezza concettuale di un costituzionalista, mi chiedo invece, e vorrei saper da voi che ne pensate: è giusto che l’assurgere a quel tipo di potere sia suggello di una carriera al vertice delle istituzioni, nell’un caso, o di un magistero intellettuale di qualche tipo nell'altro? Nel primo, il suggello della brillante carriera politica è la sua sclerotizzazione perpetua; eppure, se si è stati capaci ed amati Presidenti della Repubblica non dovrebbe mancare, anche dopo la cessazione dell’esercizio, un’aura di rispetto, un’autorità morale - quella non basta? Nel secondo, si mischiano competenze che ben poco, o non necessariamente, hanno a che vedere con la politica – la quale dispone peraltro di molte altre onorificenze per gli ´intellettuali´, se non fosse che pure quelle si sono logorate a forza di elargirle a palate. Infine, in generale: è giusto che una carica, in una democrazia, duri quanto il corpo di chi la riveste? Non è questa invece una caratteristica della tirannia, della dittatura?



Non so quanto sia realistico immaginare la cancellazione di quegli articoli. Forse, poiché possono urtare diverse sensibilità (e diversi interessi), non è del tutto inverosimile che si arrivi ad una convergenza. Ma so come vorrei che finissero: ossia, che morissero di consunzione, di vecchiaia, a causa di una serie di rinunce, tanti atti di tanti Cincinnati. Rinunce come quella di Montanelli. Che la carica sia destituita di senso dal rifiuto degli aventi diritto e di coloro ai quali fosse offerta. Ma questo, forse, sarebbe più facile in una Repubblica fondata sullo Spirito. Valete.

martedì, maggio 01, 2007

Family night


Personalmente penso aderirò a questa iniziativa, perchè di conservatorismo bigotto il nostro paese non ha certo bisogno, ed anche perchè di sentir parlare di "famiglia tradizionale", "valori tradizionali", etc, come se dovessero essere la preoccupazione principale di ogni governo, mentre invece l'Italia annega nella merda su mille altri fronti, mi sembra - come dire - da idioti.

crescita vampirizzata

Invito chiunque a leggere questo articolo sul sole 24 ore. E' molto istruttivo, ben fatto, corredato di un bel po' di dati e soprattutto aiuta a capire uno dei motivi principali per cui l'Italia non cresce: tasse esose sulle imprese. Prodi al momento della sua elezione disse che avrebbe drasticamente ridotto per lo meno il cuneo fiscale, ossia le tasse che il datore di lavoro paga per ogni dipendente. Se così fosse stato si sarebbero incentivate le assunzioni, si sarebbe dato ossigeno alle imprese e si sarebbe perfino offerto al datore un incentivo a consolidare i rapporti di lavoro subordinato, facendoli uscire dalla precarietà.
Bene, non mi sembra che nulla di ciò sia avvenuto. Inoltre, come illustra l'articolo in questione, quando su un utile ante imposte pari a 387.143 € vengono prelevati 160.102 € di IRES e 47.564 € di IRAP la spinta verso l'evasione, l'illegalità, la dissimulazione degli utili, il ricorso a paradisi fiscali e professionisti abili nell'aggirare le tasse è incentivata all'estremo - lo capirebbe anche un bambino.