domenica, maggio 13, 2007

Dell’elogio della famiglia tradizionale su base evangelica.



Sono nato e cresciuto in una famiglia tradizionale. Riconoscere il patrimonio di benefici affettivi e materiali che ne ho ricavato e che tuttora mi accompagna è, ancorché su base soggettiva e quindi limitata, il primo e più grande elogio che di tale istituzione posso pronunciare. Non posso quindi che rallegrarmi qualora un governo prenda misure legislative atte a favorire la possibilità che altre persone possano godere di ciò che mi è toccato. Elogio significa peraltro apprezzamento dei caratteri positivi: apprezzamento da cui scaturisce desiderio di tutela, e non è inteso come attacco ad altre possibili forme di unione che potrebbero ottenere riconoscimento legale, avvertite come nemiche o almeno concorrenti.

Mi sono allora chiesto se e quanto sia possibile, oltre a questo mio elogio istintivo e di cuore (ma anche assai concreto), costruirne uno su altra base. E, nella fattispecie, ho preso ispirazione da una ricorrente riflessione pubblica di Benedetto XVI secondo la quale la nascita di Gesù in una famiglia è segno di priorità di tale istituzione, priorità che è dunque dovere religioso ‘difendere’ (e qui pongo virgolette, distintive e non dispregiative, perché ‘difesa’ in termini vaticani correnti è intesa in realtà come critica a modelli coesistenti di unione tra nuclei ristretti persone basati sugli affetti e sulla condivisione dei beni, e non elogio della famiglia in sé e per sé).

Avrebbe, innanzitutto, Gesù, potuto presentarsi in altre circostanze? Difficile pensarlo. Già l’uscire dal ventre di una donna che non aveva conosciuto uomo [Mt 1:18-25; Lc 1: 26-38] (posto ovviamente che si voglia credere a questo dogma, basato su di una specifica interpretazione di passi biblici) costituì una enorme anomalia. Se Gesù fosse sceso dal cielo su di un carro di fuoco (mezzo di trasporto non sconosciuto a Dio [2Re 2:11]) il suo esordio sarebbe stato assai più spettacolare, ma l’aspetto umano della sua venuta sarebbe stato decisamente in ombra; se fosse arrivato come un viandante misterioso e straniero, di non individuabili natali, e magari con tratti somatici insoliti, sarebbe stato difficile accettarlo quel tanto da cominciare ad ascoltarlo. Non c’erano allora molte alternative.

Ma poi, in che tipo di famiglia nacque Gesù? Per saperlo dobbiamo conoscere l’ordinamento famigliare giudaico del tempo. Per sapere che cosa era una famiglia al Suo tempo e come funzionava dobbiamo impegnarci a leggere i passi del Vecchio Testamento dedicati alle regole che la riguardano, ed in particolare il Levitico. Passi contenenti quella Legge di cui Gesù non intendeva cambiare di un punto [Mt 5: 17-19]. Ebbene, non ci piacerebbe quel tipo di famiglia - e comunque, poco aveva a che vedere con la famiglia tradizionale che io ho appena elogiato. Non ci piacerebbe ad esempio il ruolo sottomesso della donna, sottoposta a un enorme carico di regole di purificazione [Lv 12-15]. Donna come proprietà; ricorderete infatti né lei né la roba d’altri sono da desiderare, con una parificazione implicita [Es 20:17]. Infine: saremmo piuttosto perplessi se conoscessimo l’età a cui Maria, in ottemperanza a tale ordine sociale, fu sposa di Giuseppe: un’età alla quale nella nostra ‘famiglia tradizionale’ si è piuttosto figlia piccola che coniuge. Ben diversa, dunque, la famiglia di Gesù dalla mia.

E quale fu il rapporto di Gesù con la Sua famiglia? Con buona pace di secoli di meravigliose rappresentazioni artistiche della ‘Sacra famiglia’, non è dato saperlo con chiarezza, puramente sulla base dei Vangeli. Avendo cominciato il suo ministero non adolescente si può presupporre un lungo periodo di vita insieme a Maria, e al misterioso, buon Giuseppe (menzionato in un numero esiguo di passi biblici [Mt 1:18-25; Mt 2; LC 2]: alla sua figura è la pietà popolare che ha molto aggiunto). Gesù a dodici anni scompare dalla vista dei genitori e dà loro un grande spavento: ritrovato dopo tre giorni a Gerusalemme a discutere con sorprendente (divina!) precocità la legge risponde loro che appunto nella casa del Padre Lui deve stare [Lc 2:41-50]; e non intende il povero Giuseppe. In età adulta esorta sì (sulla scorta di quella sopra citata Legge) ad onorare il padre e la madre [Mt 19:19; Mr 10:19; Lc 18:20], ma poi la parola ‘Padre’ è da lui usata piuttosto a proposito di quello Celeste e comune all'umanità.

Dio attraverso Gesù porta un cuore nuovo a chi in Egli creda [Ez 36:26]. Questo cuore nuovo non batte necessariamente in sintonia con quello dei cari: la famiglia (comunque essa sia intesa) non è presentata come veicolo esclusivo della Fede. Al contrario: la conversione porta persino divisione: tra padre e figlio, tra madre e figlia [Mt 10:34-37; Lc 12: 49-53]. A un proselite che tentenna e gli chiede, per seguirlo, di aspettare la sepoltura del proprio padre (ovvero: che il padre sia morto, perché il suo allontanamento non gli sia di peso) Gesù ingiunge invece di non avere esitazioni: ‘Lasciate che i morti seppelliscano i loro morti’ [Mt 8:21-22; Lc 9: 59-60]. L’opera di conversione è affidata poi al composito e strano gruppo (strano perché difficilissimo da inquadrare anche con categorie sociologiche odierne) degli Apostoli. In croce invita uno di loro a prendere Maria come propria madre [Gv 19:25-27]: un’ultima esortazione spaesante, che mescola quel nucleo famigliare in cui Egli è cresciuto e quel gruppo in cui si è svolto il suo insegnamento e che ora deve propagare. E l’amore a proposito del quale Gesù ha le parole più belle è quello amicale [Gv 15:13-17].

Quanto alle domande dirette sulla ‘famiglia tradizionale’ (ossia, ancora una volta: quella giudaica) Gesù risponde che l’uomo non deve osare dividere ciò che Dio ha unito [Mt 19:3-9; Mc 10: 1-12]. Se, con un’ipersemplificazione di duemila anni evoluzione istituzionale e affettiva, facciamo valere un’ equivalenza tra la famiglia di cui Egli parlava e quella, cristiana, contemporanea, scopriamo, in riferimento alla Chiesa Cattolica qualcosa di sgradevole: ovvero, riconosciamo nelle pratiche di annullamento del matrimonio messe in atto dalla Sacra Rota la scissione di quel tipo di legame. Scissione ampliamente applicata; ne sanno qualcosa anche molti deputati che oggi si ergono a paladini della ‘famiglia tradizionale’.

La ‘famiglia tradizionale’ contemporanea (e quale, poi? La mia è stata già diversa da quella in cui è cresciuto mio padre, e da quella del mio bisnonno) è sede di insegnamento di valori, e fonte di stabilità affettiva e materiale. Tuttavia, non è un veicolo necessario della Fede: si dà il caso tanto di allontanamento dalla Fede dovuto alla nausea ingenerata dalle pratiche famigliari, quanto di conversioni a dispetto dell’insegnamento di impronta atea avuto appunto in famiglia; c’è poi anche chi cresce cattolico (o almeno: cristiano) e solo dopo lo diventa. Quel ‘cuore nuovo’ è un dono il cui percorso di spedizione è misterioso.

La riflessione di Benedetto XVI contiene allora, temo, un invito a trattare affrettatamente il Vangelo e la Bibbia tutta, moderandone quanto meno la carica di mistero, e addormentando lo sforzo di comprensione. Da cristiano che voglia ‘difendere’ la ‘famiglia tradizionale’ sarebbe piuttosto opportuno pregare Dio che ci conceda senno sufficiente ad argomentare un buon elogio su base affettiva e razionale (termini non in contraddizione), invece che procedere allo stiracchiamento frettoloso delle Sacre Scritture. Nella stessa vena, altrimenti, si potrebbe ad esempio sostenere che, avendo parlato Dio un’unica volta per bocca di un animale, l’asina di Balaam [Nm 22:28], questo indica chiaramente la superiorità di tale bestiola, nonché il suo ruolo privilegiato nella trasmissione della Parola del Padre. Il che riesce, con tutto il rispetto e l’affetto per i somari, difficile credere. Ammetto però che sarebbe bello vedere parte del clero impiegata nell’allevamento di onagri: lasciar perdere la cura delle anime e crescerne a migliaia, nell‘attesa che uno di loro parli con ispirata favella. Dobbiamo aspettarci prima o poi un Donkey Day? Valete.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Herbert, auguri per il blog, era ora. Dopo pranzo e dopo la partita torno a commentare il post.

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