domenica, settembre 16, 2007

Tre Veleni Mortali




Le posizioni che a noi piace difendere, a forza d’argomenti, e che vorremmo vedere realizzate, sono note. Vorrei ora, ragionando su di un piano più generale, individuare tre atteggiamenti o tre disposizioni (leggetene, poi chiamateli come volete) che corrispondono a tre letali impedimenti a qualunque discussione, a qualunque dialogo, a qualunque possibilità di cambiamento. A prescindere dal fatto che difendiate posizioni simili alle nostre o meno, spero che vi accorgerete che non fanno bene a nessuno (tranne a chi se ne serva intenzionalmente, diffondendoli per difendere i propri privilegi) e che sarete d'accordo con l’etichetta "tre veleni". E sono purtroppo veleni assai diffusi.


Primo veleno: "Son tutte parole"


Questo atteggiamento si sposa bene con la pigrizia e si ritrova in genere in chi si sente insicuro con le proprie conoscenze, o abilità dialettiche, oppure è rimasto deluso da promesse tradite (infatti si riscontra spesso negli elettori di Berlusconi, ed è quindi un sintomo da cui si individua nonostante le reticenze precedente voto dato a Forza Italia. Ma fra un po' le cose si confonderanno).

Si tratta della diffidenza nei confronti della discussione e della comunicazione. Quando si avverte anche solo un po’ di correttezza nel ragionamento altrui lo si bolla subito come un prodotto verbale sì di buona fattura, ma proprio per questo da considerare con sospetto o come inefficace: "son tutte parole", appunto.

Eh no. Le parole, lo sappiamo, sono quanto di più inflazionato abbiamo. Ma sono anche tutto quello che abbiamo, perché la nostra ragione è discorsiva (non voglio imbarcarmi in nessuna grande tesi filosofica, ma avete mai notato che gli animali non discutono?). Di parole sono fatti tanto il Mein Kampf e il Libro Rosso quanto la Divina Commedia e la Costituzione. Le parole non sono solo quello che sentiamo, ma quello che pensiamo. E che poi facciamo. Non si deve dimenticare questa relazione diretta. Chi diffida delle parole o vuole passare ad altri mezzi oppure disprezza l’unico strumento analitico e costruttivo che abbiamo in molte questioni (in particolare quelle etiche). Chi le sprezzasse perché teme raggiri verbali sprezza in realtà la propria ragione ed è insicuro di sé. Chi rinuncerebbe ai polmoni per timore di respirare qualcosa di puzzolente o persino di tossico?

Secondo veleno: L’ignoranza immobile

Non sa servirsi della ragione non solo chi ne rifiuta l’uso ma anche chi non sa sostanziarlo. Molti sanno difendere le proprie posizioni non tanto argomentandole quanto facendo un uso povero delle parole. Ovvero usandole sulla base di passaggi dati per scontati, di facili equazioni, di slogan. Su quelli si attestano e non v’è nulla che li smuova, nemmeno se "smuovere" significa condurre una difesa, scendere nello spazio delle ragioni e cercar definizioni, e sostenere una tesi. Ripetono e tutt'al più cambiano l'ordine dei termini, con triste e inane ars combinatoria.

Tre esempi. (1) Inutile che qualcuno mi dica che l’omosessualità è "contro natura", se poi non mi sa dire che cosa "natura" significa. [NB: sembra facile!] (2) Inutile che qualcuno si dichiari "liberale" se non ha un corrispondente concetto di "libertà", ovvero qualcosa che non sia solo un istintivo apprezzamento per la parola "libertà", che ovviamente, "suona bene" (come "democrazia", infatti ci si affretta sempre a farcirne i nomi di qualunque partito). [NB: sembra facile!] (3) Inutile che qualcuno si dichiari "cattolico" se poi non sa dirmi i dogmi in cui per definizione un cattolico deve credere (e che lo differenziano da un protestante, ad esempio, o da un ortodosso). Come l’Immacolata Concezione. O l’Assunzione. [NB: sembra facile!]

E così via.

Terzo veleno: Il gioco di Pollyanna

Non avrete dimenticato Pollyanna, zuccherosa protagonista di più d’un libro e, soprattutto, d’un film Disney per famiglie. Costei, alla quale od alle cui conoscenze capitavano sventure più o meno gravi, trovava sempre un modo per consolarsi, pensando al peggio che avrebbe potuto verificarsi e che non s’era verificato. Desiderando ad esempio ricevere una bambola per posta e ottenendo invece, per uno scambio, un paio di stampelle, la fanciullina si consolava della delusione pensando al fatto che di quelle stampelle non aveva bisogno. Questo modo di vedere le cose era chiamato "Il gioco della felicità". Ebbene, a quanto pare alla piccola non passava per la biondocrinita testolina, forse, che avrebbe comunque potuto ottenere la sua sospirata bambola se avesse sporto reclamo. O, ancor meglio, che avrebbe provato felicità anche regalando quelle stampelle a un bisognoso.

Veniamo a noi: molte volte si sente dire che, in fondo, si sta bene, che non c’è da lamentarsi. D’accordo, sì. Nessuno dichiara che siamo con l’acqua alla gola e che in Italia si sta male. Abbiamo anche il superfluo e forse di più. Ma appunto, in primo luogo, fa rabbia che a tanto benessere non corrisponda progresso spirituale (anche un cattolico, mutatis mutandis, potrebbe sottoscrivere questa affermazione!) o diffusione del sapere, o generosità. Inoltre spesso non ci si rende conto di quanto si potrebbe migliorare. Stare meglio di qualcun altro non è un buon motivo per pensare di essere giunti alla perfezione. Da notare che quella argomentazione ("perché battersi per la legge X? In fondo non stiamo mica male") è spesso e volentieri accampata da chi riconosce che la legge X sì, apporterebbe qualche beneficio a qualcuno, ma crede in prima persona di non averne bisogno, o di non doverne avere mai bisogno in futuro, così che questo veleno è un diretto distillato della miopia intellettuale, dell’egoismo e della pigrizia.

Valete.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

imparato molto

Anonimo ha detto...

leggere l'intero blog, pretty good