mercoledì, ottobre 03, 2007

Una modesta critica del pensare religioso in rapporto al concetto di libertà



[...cui segue un altrettanto modesto elogio del Liberalismo]

Mea culpa. Avrei dovuto essere più cauto, ma ci sono caduto. Ho incominciato una discussione nei dettagli del rapporto tra Islam e libertà (e così pure, qualche tempo fa, ho discusso con esempi puntuali il rapporto tra il Cattolicesimo e la libertà). E discutere nei dettagli significa stimolare la ricerca da parte dell’interlocutore di controesempi. Per un imam che ha pronunciato la fatwa di morte contro Salman Rushdie ce n’è uno che lo ha ospitato in casa sua per proteggerlo. Per uno che non muove un dito contro l’infibulazione ce n’è uno che si sgola in senso contrario. E così via. Da noi, per un prete che tuona contro gli omosessuali ce n’è uno che ne auspica persino il riconoscimento legale (raro, ma possibile). Eccetera.

Mi soffermo ancora un paragrafo sulla mutilazione genitale femminile. Il persistere dell’infibulazione, così ragiono, si ha, dopotutto, in società permeate dall’Islam. Poiché questa usanza è ripugnante e crudele, ed inoltre non ha alcuna base scritturale (anzi, mi si ricorda che ci sono delle testimonianze in senso contrario nella tradizione quanto al comportamento del Profeta con le figlie), si suppone che, in una società, ripeto, pesantemente influenzata dalla religione, tale usanza dovrebbe essere scomparsa da un bel po’. Se invece è rimasta (e rimane) così a lungo vuol dire che le autorità che più possono influire su di essa (ovvero, quelle religiose) si sono mosse pochino. E questo per insensibilità, credo - una insensibilità nei confronti della donna che (sospetto) è strutturale nell’Islam (come nelle sue religioni sorelle o sorellastre se vi aggrada). Poiché, dal punto di vista prettamente anatomico, ciò che caratterizza una donna è il possesso (inter alia) di un vagina, se persiste una pratica volta a mutilarla e che peraltro si dimostra apportatrice di malattie e problemi meccanici (non parlo nemmeno del piacere della donna, se vi infastidisce: anche solo dell’unione procreativa), ebbene, se persiste una cosa del genere nonostante sia dolorosa e inutile, e tale sia stata per generazioni e generazioni di donne, occorre davvero che ci sia una gran bella dose di indifferenza e di inerzia ad ostacolarne l’abolizione. E ancor più responsabili sono quelle autorità religiose che hanno il potere di influenzare le opinioni e quindi i comportamenti. E doppiamente responsabili se quella pratica va contro la religione.

Nel dibattito tra me e le due lettrici di fede islamica sembra emergere uno strano Islam. Siamo abituati, in Occidente, a parlare di Paesi islamici. Ora si scopre, discutendo con queste gentili interlocutrici, che in realtà, quei Paesi, davvero “islamici” non sono, perché se lo fossero ben altri sarebbero i comportamenti e le leggi vigenti. Insomma, l’Islam sarebbe in qualche modo assente e presente. Se un comportamento è criticato lo si distacca immediatamente dalla religione dicendo “ma quello non è il vero Islam”. Bene, dico io, questo è consolante. Allora dobbiamo presupporre che l’Islam sia un atteggiamento tutto sommato a mal partito in quegli Stati (e sono tanti) dove si governa sulla base di una discendenza del Profeta e dove si accompagna al nome dello Stato medesimo l’aggettivo “Islamico”. Fin qui, in linea ipotetica, posso seguirvi. Se esiste una possibilità di tradurre l’Islam, nella politica, in modo che esso non vada necessariamente a braccetto con l’autoritarismo (ma ho i miei dubbi) e con una serie di pessimi usi come ad esempio la pena di morte, e l’oppressione dei non correligionari, ben venga. Ma, ripeto, a causa del contenuto del Corano (in particolare quanto al centrale concetto di jihad, che consente anche un’interpretazione concreta e violenta) ho poca fiducia. Mi concederete almeno che in secoli di storia non se n’è avuta gran dimostrazione, di una simile possibilità.

Questo gioco del rimpiattino (“Sì, quel comportamento X è orribile! Ma non è vero Islam / Cristianesimo / Ebraismo / Comunismo, si ricorda infatti il caso di quel musulmano / cristiano / ebreo / comunista che fece / disse esattamente il contrario di X…”) vale per tutte le fedi. Non si finisce più (per quanto, ripeto, poi la somma totale delle responsabilità storiche parli a sfavore delle religioni).

Sono ancora disposto a discutere nei dettagli i singoli comportamenti, i singoli versetti e le singole interpretazioni. Ma per oggi lasciamo in un angolo questo tira-e-molla e vediamo anche la cosa da un paio di altre prospettive. Quella individuale innanzitutto. La religione ha senza dubbio un ruolo importante per la spiritualità del singolo, per il suo equilibrio. Le nostre lettrici hanno menzionato il sollievo che una conversione, l’abbracciare una fede, comporta. E io capisco profondamente questi sentimenti, e ancor di più quelli di smarrimento e angoscia che li hanno preceduti e per questo li rispetto. Una fede dà grande forza. Sicuramente sono più serene le giornate di chi crede a un Essere Superiore che vede e provvede, di chi confida nella giustizia ultima o di chi è convinto della sopravvivenza individuale dell'anima dopo la morte.

Solo che la fede dà una forza eccessiva. Poiché si tratta, in origine, del rapporto individuale con un Essere Superiore, si finisce col legittimare tutto quello che a quell’Essere, alle Sue parole, è fatto risalire. Parole che però si contraddicono, o tra religione e religione o all’interno di una stessa religione quando vi sono nei testi sacri diverse interpretazioni possibili (e dove non ci sono?). Nonostante questo (e passiamo dalla prospettiva individuale a quella collettiva) si comincia col tracciare una linea tra fedele e infedele, la linea diventa dislivello di valori, e poi ci si sente giustificati ad ammazzare o almeno opprimere e disprezzare il secondo. E’ spesso stato detto, riprendendo una citazione (male interpretata) di Dostoevskij, che l’ateismo è da rifiutare perché, senza Dio, tutto è possibile. Acutamente ha fatto invece osservare un filosofo francese contemporaneo che, proprio perché c’è Dio tutto diventa possibile. Dire Deus vult, ma sha’ Allah diventa la coperta per coprire ogni nefandezza e il cemento per consolidare ogni status quo nocivo a qualcuno, singoli o cateogorie.


La religione crea anche delle affinità elettive spiacevoli
(per usare un understatement). La nostra giovane lettrice e interlocutrice Asyia Fatima è assai verosimilmente una persona amabile e gentile, ma sul suo blog troviamo anche spazio per Osama bin Laden, che, indubbiamente, non è una figura equilibrata ed innocua. Qualche tempo fa un nostro lettore cattolico, che certamente è lungi dall’auspicare guerre coloniali o espulsione delle comunità giudaiche, si dimostrava indulgente verso un movimento che mischia cattolicesimo (poco) e fascismo (tanto) perché in fondo si tratta di correligionari.

E ancora. Si può anche pensare che l’11 settembre non sia un avvenimento di matrice prettamente religiosa, che sia un avvenimento bellico (e quindi politico) con una patina islamica, ma di sicuro, se qualcuno ha avuto lo scellerato fegato di schiantarsi contro un grattacielo facendo fuori molte alte persone è perché era estremamente convinto di trovare qualcosa di meraviglioso dopo la morte. E del pari, se credessero un po’ meno all’immortalità dell’anima e al paradiso, molti meno giovani e ignoranti soldati americani partirebbero per andare a sparare agli abitanti di Paesi che non saprebbero trovare su una cartina muta. Lo so che suona idealistico, ma forse le guerre come quella in Iraq si fermerebbero, nonostante le altissime paghe, se ci fosse una sorta di obiezione di massa dovuta alla paura di perdere, insieme alla pelle, davvero tutto quello che c’è da perdere.

Le religioni ci dicono sì che l’essere umano è debole e fallibile, in confronto all’Essere Supremo, ma poi ahimè legittimano tutte le azioni che, da parte di quell’umano debole e fallibile, sono perpetrate in nome dell’Essere Supremo stesso. Non importa che ci sia un’autorità centrale (come il Papa) o che ce ne siano tante (come i saggi dell’islam - il che è anche peggio perché aumenta la confusione), quel che conta è che, nel nome di Dio, quelle autorità non si smuovono di un millimetro. Dio diventa lo strumento di qualunque irrigidimento dottrinario. In questo senso, anche i concetti di bontà, tolleranza e libertà che sono ricavati dalle religioni e vissuti dai loro rappresentanti sono, ancorché di fatto positivi, comunque distorti, malati.

Il liberalismo arriva ad un concetto di rispetto che è di ben altra fattura. Occorre dare spazio ad ognuno perché, ciascuno, potenzialmente, potrebbe avere ragione, fallibili e deboli come siamo. Che ciascuno sia ascoltato, che ciascuno contribuisca, che nessuno ammazzi od opprima nessuno in nome della propria posizione. Per dirla con von Hayek “La libertà è l’essenziale per far posto all’imprevedibile e all’impredicibile; ne abbiamo bisogno perché, come abbiamo imparato, da essa nascono le occasioni per raggiungere molti dei nostri obiettivi. Siccome ogni individuo sa poco, e, in particolare, raramente sa chi di noi sa fare meglio, ci affidiamo agli sforzi indipendenti e concorrenti dei molti per propiziare la nascita di quel che desidereremo quando lo vedremo” [1].

E’ un ragionamento con un fondo di apprezzamento per la probabilità: occorre che cento scuole fioriscano e si confrontino non per poi poterle meglio schiacciare (come fece in Cina chi si servì di questa metafora), ma perché umilmente si riconosce che ciascun altro potrebbe avere ragione e più si contribuisce più si innalzano le possibilità di miglioramento. E’ un apprezzamento della collaborazione, del reciproco aiuto, superiore, paradossalmente, a quello del comunismo. E le scuole saranno tante e si contraddiranno, forse, come i teologi e i saggi delle religioni: ma nessuna sarà legittimata ad accoltellare o emarginare gli appartenenti ad un’altra. Ci troviamo a condividere la bizzarra e forse anche triste condizione umana. Vediamo di ascoltarci, di darci possibilmente una mano, e che nessuno ci dica che il suo rapporto individuale con un Essere Superiore (che potrebbe anche esistere, chissà) lo autorizza a pesare anche solo un grammo di più degli altri.

Il comunismo non parla di Dio, ma non si rende nemmeno conto della fallibilità e limitatezza dell’essere umano come suo tratto essenziale (infatti prevede una specie di paradisiaca fine della storia), così poi si trova in imbarazzo a spiegare perché manifestazioni storiche presentatesi come comuniste sono fallite o deviate. Il liberalismo riconosce invece che siamo fatti di un legno duro e storto, difficile a foggiarsi, ed evita ogni culto della personalità o della super-personalità, pertanto non ha imbarazzi nemmeno a riconoscere che ci possono essere (e vanno combattute!) proprie forme deviate o pretestuose in cui di “liberalismo” c’è solo il nome. E non le scusa perché in fondo c’è una somiglianza almeno verbale o una lontana parentela.

Valete.

[1] Friedrich A. von Hayek, La società libera , cit. in D. Antiseri, Prefazione a F.A. von Hayek, Individualismo: quello vero e quello falso, Rubbettino 1997 (ed. italiana di Individualism: true and false, 1949), p. 29.
{Sì, Beiderbecke, te lo restituirò, vedi bene però che ne ho fatto tesoro!}

7 commenti:

Anonimo ha detto...

Molto interessante,per quanto riguarda il comunismo mi trovi perfettamente d'accordo! Per il resto cercherò di argomentare come in precedenza

Herbert ha detto...

Mio caro amico nonché co-blogger, hats off!
post fantastico che credo che metta in imbarazzo tutti i sostenitori di una fede vissuta in modo radicale e più in generale di tutit i sostenitori di qualsiasi pensiero totalizzante. Del libro di Von Hayek non ti preoccupare: visot come lo hai "mesos a frutto" te lo regalo. Te lo meriti! :-)

Anonimo ha detto...

veramente a me non mette in imbarazzo affatto perché ho fede nel mio Signore,mi dispiace solo per chi non ne ha

Anonimo ha detto...

@Balaam:

Due cose:

1) Anche il comunismo parla di Dio. Lo chiama giustizia sociale, ma trattasi sempre di divinità.
2) Fai post un pochino più corti ;-)

Ciao! Ci si vede!

www.italianlibertarians.splinder.com

Balaam ha detto...

Caro Jinzo,
grazie per il commento. Chiaro che il comunismo parla, a suo modo, di Dio, vedi infatti che l'ho fatto rientrare nella discussione delle religioni. E' la giustizia sociale, ma anche 'La Rivoluzione', 'Il Partito', 'Il Proletariato'... Come quello del Corano anche il Dio del comunismo ha 99 nomi!

Lo so che mi dilungo, scusami! Vedi che un po' mi sto limitando ultimamente.

Però è anche vero che mi piace argomentare le cose, come a Beiderbecke del resto. Sono post molto pensati (a volte ore e ore notturne). Per slogan o a spizzichi e bocconi parlano i beppegrilli o i politici in generale. Soprattutto quando si tratta di cose delicate come la Bibbia o il Corano occorre spiegarsi, se no poi sembra che uno si sia rabberciato alla meglio quattro idee leggendo la Fallaci o chissà chi. Vedo che anche i nostri (pochissimi!) lettori sono molto preparati nei loro campi...

Comunque se ti interessa sapere di che parlo senza sciropparti tutto mi son messo a evidenziare le asserzioni più rilevanti.

Ciao!

S. alias B.

gi_spadaccini ha detto...

Due parole di commento e una domanda per il puntiglioso redattore (che, nonostante il profetico nom de plume ecc. ecc...).
Il liberalismo, per come credo lo intendiate voi, esprime una precisa concezione della libertà, un concetto, direi, operativo di libertà. Vale a dire: la libertà è uno strumento che noi possiamo usare (attenzione a quel 'possiamo', perché è lì il nocciolo) per raggiungere determinati obiettivi attraverso sforzi che riconosciamo comuni a tutti. E fin qui, tutto bene. Il liberalismo poi, sempre in questa forma camusiano-libertaristica che spesso trovo sulle vostre pagine, tiene in gran conto la dimensione partecipativa della vita di questi disgraziati abitanti di questo disgraziato pianeta. E' attraverso questa dimensione, infatti, che la libertà del liberalista raggiunge il suo massimo potenziamento e la ragione del suo essere. Bene, benissimo. Una visione molto matura dell'esistenza. O no?
Ogni forma di religione, invece, anche se all'apparenza potrebbe trovare numerosi punti d'appoggio in questa frettolosa schematizzazione che ho proposto (e sin dall'etimologia del termine [religio]si potrebbe risalire a quella dimensione comunitaria di cui sopra)rigetta implicitamente un siffatto concetto di libertà nella misura in cui è l'individuo a meritare o meno la salvezza. Le opere buone, ad esempio, che tanto bene fanno alle famiglie dei defunti, non sono indirizzate ad un reale avanzamento di una comunità, di una nazione, di una specie: esse sono finalizzate alla salvezza del singolo. E c'è un bel da leggere il povero San Paolo, per il quale saremo salvati tutti: no, chiedete un po' in giro.
Ora, il punto della questione a mio parere non è se sia più bello o utile essere religiosi o irreligiosi liberalisticamente. Se riuscissi a credere al paradiso, alla più onesta e responsabile comunità, o alla società senza classi, probabilmente vivrei diversamente da come vivo. Orienterei le mie azioni in modo automatico, come si orienta la limatura di ferro sulla calamita. Avrei il mio polo nord magnetico sempre pronto, insomma. Solo che penso di avere dei problemi con questo tipo di visioni, ce le ho proprio in gran dispitto. E ciò proprio per quel concetto di libertà che ambedue esibiscono. La libertà o è assoluta, o non è. Non se ne può fare un valore, né la si può legare a circostanze materiali o ad una particolare forma di credenza. E', e tanto basta. La libertà, per storpiare un termine amato dai miei amici filosofi di ad-sidera, è una sorta di forma a priori dell'esistenza dell'uomo, il fondamento senza fondamento. Imbrigliarla in un nome o in una credenza già la sfregia.
Perdonate la sciatteria. Rimedierò.

Gi. S.

Herbert ha detto...

Allora, caro Giovanni apprezzo molto il tuo commento ma non credo di condividerlo in ogni passaggio.
In primo luogo non sono assolutamente d'accordo con una concezione della libertà come mera condizone assoluta. Perchè non credo in nulla di assoluto, aprioristico. O meglio posso anche credere ad una libertà di quel tipo ma mi sembrerebbe davvero qualcosa che assomiglia "pericolosamente" ad altri concetti assoluti che non mi si confanno. quello che qui mi interessa sono solo le ricadute pratico-empiriche di ciò che è assoluto con anche tutte le incrostazioni e le impurità che in esse si producono quando necessariamente si viene a patti con la realtà sensibile (sempre che essa esista, ma non intendo inoltrarmi in tali pastoie concettuali). La verità è che almeno io qui affronto la libertà non in termini filosofici, che comunque sarebbe cosa interessantissima, ma in termini meramente politici ed economici. In altre parole io prendo in considerazione la libertà già incardinata nelle sovrastrutture umane, calata in un preciso contesto sociale. Mi si può recriminare, e forse qui vuoi andare a parare anche tu, che una simile libertà altro non è che un'approssimazione di quella vera,aprioristica che viene ingabbiata e quindi quasi svilita. Ma lo scopo di questo blog almeno da parte mia non è dare un fondamento filosofico alla giustizia assoluta di una concezione di vita basata sulla libertà, ma semplicemente mostrare come una concezione basata sulla libertà (o meglio sulle libertà economiche e individuali) è quella maggiormente auspicabile rispetto a tutte le altre concepite dall'uomo per i suoi simili in quanto si rivela essere quella che, secondo i parametri e i criteri che esponiamo io e il mio collega, garantisce una migliore qualità della vita e di sviluppo eocnomico e sociale. In definitiva io non cerco nulla di assoluto, ma cerco una continua conferma in merito a quale sia il pensiero che può in concreto incidere sulla società creando il massimo bene per il maggior numero di persone (il vecchio criterio dell'efficienza Paretiana, anche se lui poi fosse più affine a concezioni diverse dalla quelle qui seguite) e finora da questa continua ricerca è sempre scaturito come risposta il liberalismo.
In conclusione qui si è immersi nella realtà empirica fino agli occhi, ed è proprio dal rifiuto di una ricerca condotta principalmente su categorie assolute ed aprioristiche che nascono almeno le mie convinzioni.
scusa per la risposta partorita e scritta frettolosamente, prometto che tornerò più compiutamente su queste riflessioni. ciao