domenica, settembre 30, 2007

Just to make a few things clear





"Fuck Osama bin Laden, al-Qaeda, and backward-ass, cave-dwelling, fundamentalist assholes everywhere. On the names of innocent thousands murdered, I pray you spend the rest of eternity with your seventy-two whores roasting in a jet-fueled fire in hell. You towel headed camel jockeys can kiss my royal, Irish ass!"
the 25th hour - Spike Lee

lunedì, settembre 24, 2007

Risposta aperta a una gentile lettrice sulla condizione della donna (e della bambina) nell’Islam


Cara amica,
Benvenuta. Ho letto con attenzione la tua risposta. Non credo che siamo poi così lontani quanto ad idee, almeno non su ogni punto. Hai ragione, ad esempio, sulla donna mercificata; le portatrici di culo di cui parlavo nel post precedente (nota linguistica: pensa che il correttore di word continua a sottolineare la parola culo!) sono infatti donne tristemente oggettificate e ridotte ad una frazione fisica di loro stesse. Io facevo innanzitutto notare che il dar giudizi su questa o quell’altra parte del corpo è qualcosa di umano, e d'altra parte, a voler essere rigorosamente contro, anche un concorso di bellezza dello sguardo dovrebbe irritare. Non negherai inoltre che anche gli uomini musulmani hanno i loro canoni per giudicare una donna “pezzo per pezzo” anche se poi la cosa rimane “per la strada” e non si è ancora arrivati a una trasmissione televisiva che dia risalto alla cosa. E immagino anche le donne musulmane giudichino qualche a volta l’uomo “a pezzi”. (Ad esempio l’amatissimo e popolarissimo cantante Amr Diab non è gobbo e stortignaccolo, tutt'altro - è dovuto solo alla bella voce il suo successo?). Quindi, da un lato l’apprezzamento puramente fisico delle natiche non è necessariamente un segno di decadenza, e, dall'altro, se segno di decadenza è in quanto una singola parte del corpo è impiegata come unico metro di giudizio di una persona, questo si ha comunque anche nei Paesi islamici. Insomma: sdrammatizziamo un po’.

Passiamo ad argomenti più profondi, che prescindono dalla specifica questione delle natiche esibite in tv. Parliamo della condizione della donna secondo l’Islam. Hai ragione sulla inaffidabilità metro di giudizio che si impiega per valutare la libertà della donna e sulle miopi facilonerie in cui si incorre nel farlo. La donna non è più libera quanto più si può scoprire. E nemmeno è più realizzata quanto più può salire, o di fatto sale, gli scalini della gerarchia di un’azienda o di uno stato. Io sono figlio di una casalinga che ha rinunciato al lavoro per seguire meglio la mia educazione e che ha una ricchissima vita spirituale, molto più, credo, di qualche ministra o di qualche manager - da una simile stortura di ragionamento mi sento esente. E gli occidentali superficiali lo dimenticano. Però anche tu sei fluttuante: se tu fossi relativista in modo coerente ("le donne musulmane hanno un metro, le occidentali un altro, e ciascuna è contenta con quel che ha") non dovresti nemmeno chiedermi se ci sono poi così tante in posti prominenti nella politica occidentale, né menzionarmi le donne in posizioni di successo. Se si è coerenti col ragionamento dei “due metri” domande così diventano irrilevanti. E comunque, la risposta è, donne in politica nel mondo arabo ce ne sono, sì, io so almeno di quelle in Egitto, ma prima che se ne veda una alla presidenza (come la Tatcher, come la Merkel) di uno Stato si può aspettare che torni il Profeta.

Specifico tuttavia una cosa: se anche esistesse un metro di giudizio assoluto, e in base a quello emergesse che le donne in Medio Oriente sono “meno realizzate”, ebbene questo non giustificherebbe alcuna aggressione da parte dall’Occidente. Lo dico per limitare il discorso alla mera discussione sulla condizione della donna perché è chiaro che molti compiono una serie di passaggi argomentativi e ideologici del tipo “la donna nella società islamica è inferiore” ergo “la società islamica in toto è inferiore” ergo “si può / si deve attaccare la società islamica con la violenza o con altri mezzi”. Non sono così rozzo.

Hai anche ragione sulla paradossale modernità del Corano a cui nessuno pensa, di primo acchito. Il Corano fu un grande miglioramento, una eccellente innovazione, dal punto di vista legale. Ad esempio si scaglia contro l’uso orribile di uccidere le neonate, vigente nell’epoca precedente al Profeta, che le rivelazioni cancellarono. La donna della società preislamica non se la passava affatto bene (ma ancora - la prima moglie del Profeta, Khadija, era una ricca commerciante, vedova. Anche questo è un punto che può far riflettere).

Ma è il seguente che ritengo l’argomento più forte, e vorrei che su questo ci si concentrasse. Parli anche tu di rispetto per la donna. Se ammetti che la donna possa essere rispettata (qualunque cosa si intenda per rispetto), ammetti anche che ci siano anche casi in cui la donna può NON essere rispettata E questo può purtroppo accadere anche nell’ambito famigliare - pure il Corano menziona l’eventualità di maltrattamenti da parte dal marito (vedi IV,128). Ebbene, in questo caso si misura la libertà e la tutela della donna (quindi il rispetto stesso!) dalla facilità che la donna ha di liberarsi del non rispetto di cui potrebbe trovarsi ad essere vittima. E qui si cade; perché le leggi islamiche nel divorzio favoriscono inesorabilmente il marito. Questo non è nemmeno uno di quei punti ambigui, moderabili (si sa che il Corano ha infatti versetti che ne abrogano o almeno mitigano altri), ma è scritto, e salmodiato, chiaro e tondo. Il divorzio islamico, stando alle parole del Corano che ha pure una sura (la LXV) che ne prende il nome, è, sì, meno brutale di quanto si pensi; c’è un periodo di riflessione che l’uomo deve rispettare perché potrebbe voler ritornare su suoi passi, poi la donna deve ricevere il necessario per la sussistenza, e infine si parla di trattare la ripudiata con gentilezza -il che fu un enorme miglioramento rispetto alla società venuta prima del Profeta. Ma si parla di ripudio solo come un atto che può provenire dal maschio.

Questo ha conseguenze non trascurabili. Se un uomo maltratta la moglie questa non può liberarsene facilmente, il ripudio deve ottenere il consenso… di lui! Scatta allora un meccanismo sociale viziato. Difficile che l'uomo acconsenta, visto che il divorzio è per lo meno una seccatura, inoltre non è socialmente onorevole, suscitando malelingue e pettegolezzi (come da noi). Nel caso invece dia l'assenso, ci si inventa qualche responsabilità che ricada sulla donna. Politica del male minore: se riprovazione sociale deve essere, almeno che la moglie sia vista come chi ha sbagliato. E se risulta che la colpa è della moglie, ovvero che è una cattiva moglie, la sua posizione giuridica scade ulteriormente. Come appunto il giudizio della gente su di lei, che è influente anche per quanto riguarda le chances che quella ha poi di rimaritarsi, questione non secondaria: dopo che sei stata vittima di una "mancanza di rispetto", quanto riesci a uscirne a testa alta? Quanto puoi rifarti se sei una divorziata?

C’è un senso unico, uno squilibrio, nel divorzio islamico ma in generale nel matrimonio, che non è mai considerato con attenzione. Le donne che elogiano l’Islam, appartenendovi, e sottovalutano questo punto, o sono islamiche che vivono secondo leggi occidentali (perché convertite, perché immigrate) oppure vivono nella legge islamica ma pensano egoisticamente e ingenuamente che la cosa non è rilevante perché tanto loro marito non potrebbe mai dare loro motivo di volerne divorziare: in ogni caso una forma di egoismo, di miopia. Nota che lo squilibrio che c’è nel matrimonio si riflette anche sul suo inizio, dal momento che non è la donna che sceglie. E anche questo è un punto da non trascurare.

Mi dici poi che ti rotoli dalle risate leggendo che io penso che un imam “rompe le scatole”, come se fosse una mia ingenuità… Gli imam (altra parola che word sottolinea! Si dovrebbe fare una ricerca di antropologia culturale, su questo) gli imam, dicevo, di questi affari, del “come ti devi comportare” si occupano eccome. Non necessariamente con le buone. Se poi malauguratamente vogliono usare le cattive difficile che qualcuno li fermi. Non puoi negare il loro ruolo sociale molto forte e non sempre positivo.

Torniamo alla questione della donna, in relazione a quest'ultimo punto: se nel mondo arabo ci sono stati dei provvedimenti che sono stati portati avanti per tutelare sempre più la donna per quanto riguarda il divorzio, non sono certo stati portati avanti da degli imam. La donna, nella società che essi controllano, è rispettata (almeno secondo criteri intra-islamici) tuttavia “gli uomini sono un gradino più in alto”: parole di Dio per bocca di Muhammad (Sura II, 228). Se si ragiona su questa base è difficile poi che si prenda in considerazione la condizione della donna come qualcosa cui possono essere apportate modifiche. E l’immobilismo non è mai un valore positivo. Rispetto vuol dire non solo garantire una condizione ma anche problematizzarla, metterla in discussione, sapersi chiedere se va bene così o se per caso non si può fare qualcosa di più - però se si è convinti che la condizione è quella perfetta, in quanto stabilita da Dio, non vi si pone mai mente in modo flessibile. La si dà per scontata. Dare per scontato qualcosa non vuol dire prenderlo sul serio.

Un'altra riflessione, sempre in questa vena. Parliamo di chi vive non con addosso il semplice velo, ma completamente coperta. Una donna celata da un niqab è sì tutelata da certe osservazioni pesanti o dal condizionamento esteriore e superficiali da parte della moda. Non corre il rischio di essere come quelle tristi ragazzotte di Salsomaggiore. Ma è anche una donna di cui non puoi vedere se piange, o se è pallida perché sta male, è un essere a cui tu (uomo o donna) non puoi offrire il tuo aiuto - perché non ti accorgi facilmente che ne necessita! Vi rendete conto della distorsione percettiva e quindi delle idee, della sensibilità, che è indotta dalla pratica di coprire le donne dalla testa ai piedi? Come si fa relazionarsi alla donna con consapevolezza se le "donne" sono innanzitutto "quelle di casa mia" e per il resto sono "quell'insieme indistinto di esseri coperti di stoffa che vedi fuori"? Che hanno un viso solo tra le mura di casa, di cui pensi pertanto "se hanno problemi ci penseranno i loro padri o mariti"?. Io trovo che la copertura integrale sia un'arma a doppio taglio, tutela, sì, questo può essere sostenuto con una certa efficacia, ma lascia anche tremendamente sole, e induce all'essere ignorate da parte degli altri. Questo intendevo quando parlavo della "negazione di identità" a causa del burqa o del niqab. Non mi pare un argomento che si possa facilmente liquidare. Oppure, ancora, si presuppone che una donna non starà mai male, non avrà mai un disagio, e che nel caso tutto deve essere risolto e si può risolvere in famiglia? Oppure si dirà "Beh, se una donna ha bisogno di aiuto te lo chiede?". Miseri, egoistici ragionamenti...

Un altro paio di notazioni: se si dice che la donna coprendosi, è protetta e rispettata, questo significa anche che si ha una concezione non lusinghiera del maschio, come se potenzialmente la visione di qualunque porzione di pelle femminile scoperta facesse di lui un bruto, come se l'irrispetto fosse una tendenza irrefrenabile il cui scatenarsi è direttamente proporzionale alla visibilità del corpo femminile. Ben misera visione allora! Oppure la donna è coperta perché sia vista solo da uno, il marito? Quindi nel matrimonio la donna è cosa del marito?

Si noti che sto parlando della copertura totale, la quale però non è univocamente prescritta dal Corano, che ordina di usare dei mantelli (jilbaab - XXXIII, 59), e coprire le "parti belle" (XXIV, 31). Così che poi una tradizione fondamentalista, per andare sul sicuro, (e, sospetto, anche per ingabbiare socialmente la donna), ha pensato bene di coprire tutto. Credo invece che il velo (nonché un abbigliamento sobrio: non sto affatto sostenendo una mise da Salsomaggiore!)sia accettabile, ammesso che portarlo sia frutto di genuina scelta; e dirò di più, una posizione che forse scontenterà alcuni, anche se ho delle forti obiezioni di fondo rispetto alla religione, pragmaticamente lo accetterei anche nelle scuole.

Facciamo infine un esempio concreto di immobilismo nocivo, tornando sull’infibulazione (anche questa parola word la corregge…) della quale tu taci, forse perché sei disinformata. (E se non lo sei vorrei che ti esprimessi al riguardo). E’ una pratica che non ha alcuna base coranica (e che può essere adottata anche dai cristiani di quelle latitudini, ecco perché nel titolo sarebbe stato meglio parlare di società araba in generale). Pratica che consiste nella cucitura o mutilazione dei genitali femminili, effettuata su bambine (quindi è imposta, perché per le bambine non si può parlare di scelta consapevole). Non c’è paragone con la circoncisione (anch’essa peraltro discutibile) in quanto è molto più dolorosa e nociva alla salute - se non vogliamo parlare della vita sessuale anche solo dal punto di vista della meccanica dell'atto riproduttivo e non del piacere. Essa è almeno in alcuni Stati formalmente proibita. La conseguenza è che la si pratica negli ospedali sottobanco, o la effettuano delle praticone di villaggio prive della benché minima nozione di anatomia e di profilassi - ammesso e non concesso che una mutilazione genitale in ambiente antisettico e in anestesia sia accettabile. Questa pratica, lo ripeto, non ha base coranica ma solo una ambigua giustificazione nella tradizione. Ebbene, io scommetto che le iniziative che hanno portato alla proibizione formale inefficace, lo ripeto!) di tale pratica NON sono state portate avanti prevalentemente da degli imam, i quali pure dovrebbero non solo conservare la parola di Dio ma anche distinguerla dalle aggiunte spurie; e tutto questo se proprio vogliamo metterla sul piano della religione senza pensare alle sofferenze delle mutilate, che ovviamente sono ciò che più conta. E sospetto anche che la contrarietà di principio a tale pratica sia pure essa non molto diffusa tra gli imam.

L’argomento è lungi dall’essere esaurito, ma per oggi termino qui sperando di avere chiarificato a sufficienza le mie posizioni e di avere fornito qualche spunto di riflessione in più.

Grazie ancora per avermene dato l’occasione e a presto, anche sul tuo blog.

domenica, settembre 23, 2007

Culi, Copricapo & Crani



La lettura dell’articolo di un nobile e popolare collega di blogosfera (http://salamelik.blogspot.com/2007/09/le-schiave-del-lato-b.html), a noi accomunato a quanto pare dall’amore per gli interventi lunghetti sì, ma argomentati, mi suggerisce riflessioni sull’Islam e le sue implicazioni sociali che, stranamente, abbiamo poco trattato.

Non voglio che le mie righe siano un sostituto dell’articolo citato, che vi invito a leggere. Mi permetto però di riassumerne i passaggi fondamentali, perché sono quelli caratteristici di una certa linea di ragionamento corrente. In due parole: si prende spunto dal recente episodio missitaliota dei giurati che chiedono di valutare più accuratamente il culo (parola lecitissima, inutile usare eufemismi) delle candidate. Da questo si fa una analogia: queste povere ragazze, sono appunto prese per il culo, anzi, peggio, prese come portatrici di culo, valutate in base ad esso solo, sono schiave di un meccanismo di emulazione che privilegia la sola bellezza e svilisce la donna. Si passa poi alla società del velo: la volete criticare in quanto le donne vi sarebbero trattate come schiave - così procede la controcritica - mentre è nella vostra società le donne diventano schiave “del lato B”. Ossia appunto del culo.

Vorrei esordire in leggerezza, sdrammatizzando innanzitutto l’episodio delle natiche. Nulla di nuovo là dove non batte il sole, sapete? L’apprezzamento della bellezza fisica non è “superficiale”, è qualcosa di umano, molto umano. Uno degli attributi di Afrodite era, migliaia di anni fa, e senza che le interessassero provini di sorta, callipigia, ovvero (mettendo da parte pudori da professorini del ginnasio), “dal bel culo”. Vi sono punti del corpo che sono codificati come attraenti, erotici. E dico codificati perché si potrebbe anche osservare che variano di epoca in epoca; ho citato Venere, ma è noto che in altri tempi si son fatti sperticati elogi delle chiome, o delle caviglie (anche se forse si stava pensando ad altro, ma chi può dirlo?). Mi ricordo di avere visto la foto di una vincitrice di molti anni fa (forse la Bosè) di cui si vedevano i peli ascellari, oggidì messi al bando. Mi ricordo quando era ancora originale elogiare il culo di un maschio (e c’è una divertente battuta al proposito, mi pare, in Harry ti presento Sally). Il culo resta forse ancora un po’ più tabuizzato perché ha a che vedere col “sotto”, col “didietro”, con le feci insomma, mentre il seno, essendo in alto e legato al “latte” è più nobile. In realtà, allora, se ce la si vuole prendere con la riduzione di una persona a una parte del corpo, basterebbe Miss Italia in sé che è un concorso di bellezza fisica, basterebbe l’apprezzamento del seno, che però non fa notizia perché è dato per scontato. O anche solo degli occhi: che però la tradizione nobilità in quanto specchio dell'anima, quindi più spirituali. Eppure son parte del corpo quanto il culo! Quindi il comportamento dei giurati è del tutto coerente con il contesto e per nulla nuovo. Lo prendo come un fenomeno umano tra i tanti e per giunta assai banale.

Ma veniamo al parallelo con la società islamica. Ho una esperienza non superficiale con alcuni Paesi islamici. Conosco in particolare l’Egitto in quanto ho avuto il privilegio di potervi insegnare italiano, godendo di un contatto con la cultura locale che non è certo quello del turista che va a arrostirsi le natiche a Sharm. Ho elementi più che discreti di lingua araba letteraria e di dialetto egiziano. Ho letto (in traduzione) il Corano mentre vivevo in un Paese la cui cultura ne è impregnata, con il vantaggio di un riscontro diretto e di poter fare domande ai miei colleghi insegnanti (egiziani). Tutto questo non per parlare di me ma per farvi capire che il mio giudizio non è ricalcato su quel che leggo sui giornali o peggio sui libri della Fallaci.

Vi dirò, allora, che anche gli uomini di laggiù apprezzano le forme, forse ancora più di noi perché non passati attraverso una moda che ha imposto come attraenti le anoressiche. Da dove viene, del resto, la danza del ventre? Dalla Norvegia forse? Nella tradizione araba ci sono dei ben precisi canoni di bellezza che si perpetuano tuttora, e ben lo sanno certe non più giovanissime signore delle nostre latitudini che laggiù vanno, magari colla scusa di un corso di lingue, a riciclarsi un po’, godendo di un rinnovato successo grazie a forme che da noi sarebbero giudicate già oltre misura. Dico tutto questo, si badi bene, non perché ritenga la cosa negativa, ma per sottolineare un’analogia. Inoltre anche il modello occidentale in sé si impone: i video musicali strabordano di cantanti che gorgheggiano i loro “ye habibi”, "amore mio", mentre esibiscono generose scollature. Amr Diab, per vedere la cosa anche dall’altro lato, è un popolarissimo cantante che spicca anche come gran pezzo d’uomo.

Questo, per attenuare la differenza. Ma il vivo della critica è il seguente. Il famoso “velo” che si stracita non è tanto l’oggetto in sé - a parte il fatto che con questo nome si finisce poi con il riferirsi a ben più ampi pezzi di tessuto che non a un semplice copricapo (il famigerato burqa o niqab) versioni che negano l‘identità e danno pure una non indifferente serie di problemi pratici. Ebbene, dicevo, non è il velo in sé, ma il complesso della società che lo esprime. E in quella società è ben difficile parlare di libera scelta da parte della donna.

Esiste una libera scelta, casomai, per una piccolissima minoranza di benestanti, che ora ritornano al velo, per un processo di orgoglioso recupero che è passato, a sua volta, attraverso una fase di abbandono legata ad una occidentalizzazione altrettanto liberamente scelta, ossia emulativa - dove emulazione significa scelta davanti a una gamma di possibilità. Quando ancora l’Occidente era visto come modello positivo, a causa del suo trionfo tecnologico, e vigeva un sentimento di inferiorità, si cercava un modo per prenderne il meglio rimanendo fedeli alle proprie origini culturali. Sviluppo all’egiziana, uso della lingua araba, ma abbandono della galabyya (la veste lunga che ancora oggi nel sud dell’Egitto va per la maggiore). Tutto questo non lo invento io, ma lo descrive ad esempio anche un autore non certo tenero vero l’Occidente contemporaneo, Galal Amin, nei suoi notissimi libri su “Che cosa è successo agli egiziani?”. Il discorso della “libera scelta” vale anche, al giorno d'oggi, per molte musulmane immigrate, che han visto l’alternativa e hanno consapevolmente optato per.

Ma la maggioranza delle donne laggiù, capo scoperto o no - e sto parlando di un Paese noto come moderato!- è ancora ingabbiata in un sistema di sudditanza rispetto al quale non conosce alternativa. Un sistema, per esempio, di matrimoni combinati, in cui la donna è giudicata in base a canoni economici ed estetici - questi ultimi non dissimili da quelli evocati a proposito di Salsomaggiore. E l'uomo altrettanto.

E non mi dilungo poi sulla terribile mutilazione genitale (di cui ancor meno da noi stessi si parla perché la vagina è ancor più tabuizzata delle natiche!), che, riguardando tra l’altro anche le bambine figlie di cristiani (senza uno straccio di giustificazione in alcuna sacra scrittura) consiste in una operazione dolorosissima imposta alle piccole, assolutamente superflua dal punto di vista medico e spesso foriera di malattie. E si parla appunto di bambine, che per ovvi motivi anagrafici certo non scelgono con cognizione di causa. Non mi si facciano analogie col piercing, prego, che tutt'al più è brutto o un po' scemo. Qui si parla di una mutilazione nociva, imposta, che ha alla sua base pregiudizi sulla femmina. Si sente sì di donne che tornano, previa riflessione, al velo, ma di nessuna che recuperi la cucitura dei genitali. Nemmeno il matrimonio combinato pare abbia mai suscitato grandi nostalgie, né per i maschi né per le femmine.

Io compiango le ragazzotte del culo perché si riducono a quello, sì. O ne rido. Ma posso farlo perché so che quella riduzione contrasta, come scelta meno felice, rispetto a una gamma di alternative più nobili e che ritengo meno effimere, aperte nella nostra società a una giovane donna: lo studio, la realizzazione di sé colle doti dell’intelletto, insomma la valorizzazione di quello che sta nel cranio e non su di esso o al suo estremo opposto. Alternative potenziali che non ho visto altrettanto diffuse, in Egitto e altrove. Ci sono, per carità. Ma non così tanto. E la mentalità che esprime - tra le altre cose- anche il velo, la diffusione di quelle alternative non la favorisce affatto. E mi scuso se il discorso è un po’ secco. Inoltre, particolare non trascurabile, il culo a cui quelle ragazze sono ridotte non è scoperto per presunto ordine di Dio. Si può discutere, si possono tentare di convincere le fanciulle in questione a scegliere qualcos'altro - come dimostra l'intervento polemico stesso. E non si incorre in nulla, nessun ostracismo sociale, nessun imam si adombra.

E’ facile, e da faciloni, prendere un’analogia, descrivendo due comportamenti (le donne del velo da una parte, le portatrici di culo dall’altra) e poi dire che il meccanismo è lo stesso e che anzi quelle del culo son ben più schiave, enfatizzando una metafora. Ma è poco onesto e fedele alla complessità dei fatti. Non nascondiamoci dietro a un tenue velo.


Ila-liqa

sabato, settembre 22, 2007

Risposta in Corsivo a Dopobarba


(…assurta a post vero e proprio perché ho preso il suo commento assai sul serio e l’ho voluto sviscerare)

Il post mi aveva fatto "incazzare"

Non c’è bisogno di virgolette, nei post cerco di essere formale ma nei commenti ci si può sbottonare, quindi non mi scandalizzo. E dopo questo inizio faceto entro nel merito…

In buona sostanza trovo scorretto, sotto il profilo dell'onestà intellettuale, tentare di ridicolizzare la spiritualità dei singoli attraverso affermazioni sottintese che non necessitano di motivazione.

Allora, credo che quei singoli col loro modo di parlare siano stati i primi a rendersi ridicoli. E tu dovresti essere il primo a percepirlo in quanto loro correligionario colto e preparato. Vedo infatti che non entri nello specifico e non provi a giustificare le singole frasi criticate, che sono piuttosto indifendibili. Forse, sotto sotto, c’è la tua irritazione, più che per il post, per la magra figura che quei signori ci fanno. Vedi, per esempio io sono liberale, ma se qualcuno dicesse di esserlo altrettanto e poi farfugliasse delle stupidaggini o delle frasi da ignorante semplicemente usando la parola "liberale", "libertà" come condimento, mi arrabbierei con lui. Cfr. uno degli esempi che ho scelto per illustrare il secondo "veleno" nel post successivo a quello qui discusso.

Distinguiamo l’errante e l’errore, come diceva Giovanni XXIII che tu citi. Diciamo anche che per ogni tesi, per ogni teoria ci sono sostenitori più o meno preparati e che nessuno parla mai sempre a titolo di tutti. Ma una tesi, a forza di essere mal sostenuta da individui confusi, si logora. Inoltre la loro confusione può anche essere attribuita a impreparazione individuale, ma secondo me è pure sintomo del fatto che quella stessa posizione è stata diffusa senza ben spiegarla: “ora si può dir Messa in latino, ma ricordate che la lingua non è essenziale”, basterebbe una postilluccia così, ma mai la si ascolta!

C’è una persistente carenza di chiarezza e di spiegazioni nel rivolgersi ai fedeli quando si forniscono loro insegnamenti o si promulgano disposizioni, che è stata lamentata di recente anche da eminenti figure della Chiesa (non da me!) in merito ad altri provvedimenti. Ricordi il Card. Martini?


Teilhard de Chardin scrisse, di quando una volta, in Cina (speditovi da superiori ottusi), gli mancava tutto l’occorrente materiale per la celebrazione eucaristica; si mise allora a pensare che prendeva come altare la Terra intera e come ostia la sua fatica quotidiana. (Mi scuso se cito solo a memoria, quindi approssimativamente, questa riflessione bellissima che a suo tempo mi colpì). Ebbene, da pensieri tanto profondi, da una percezione così vera dell’essenza di tale celebrazione a frasette come “mi piace l’antico”, a elogi che si farebbero come a una tazza di cioccolata calda, ci vedo un baratro spirituale sconfortante. Tu no? (Non per niente T. d. C. fu un outsider della cattolicità…)

Un metodo da Repubblica, appunto; giochini di prestigio.

Guarda, trovare quelle immagini su Repubblica è stato un puro caso. Il quotidiano on line non ne faceva nemmeno un uso polemico. E sono stato sorpreso anche io di quello che quelle persone dicevano, perché confermava un mio sospetto espresso nel nostro più discusso post. Ovvero quello di un approccio estetizzante e quindi superficiale alla Messa. Ho anche premesso che non ritengo quelle persone rappresentative di tutta la Cattolicità…Però una, UNA che mi smentisca! Un fedele che dica netto e reciso “non importa, latino o italiano è la Transustanziazione che conta”. Il signore della Militia Christi parte “bene”, poi fa un desolante richiamo ad un recente film (e tutti gli altri di eguale tema ma con meno sangue? Capiamo la Passione solo perché un regista l’ha rappresentata in modo più audace e grazie agli effetti speciali più sviluppati?).

Vedi, è come con le interviste ai leghisti ai loro raduni… Forse uno ce ne sarà che in fondo è colto e mite, ma quando li senti parlare snocciolano sempre campionari di rozzezze varie in italiano approssimativo.

Se si vuol dire che questa gente "del Vecchio" è stupida e retrograda(...)

Excusatio non petita, accusatio manifesta , potrei dire, tanto per tornare al latino... Ma sì, penso che quella gente sia molto limitata e superficiale e che la loro superficialità sia nociva alla cattolicità e sia sintomo di una impreparazione (azzardo io, eh?!) pilotata. Perché l'impreparazione sulla Messa può anche essere innocua e tutt'al più avere effetti folcloristici, ma poi è un abito mentale a cui ci si abitua e sotto il quale si finiscono per paludare ben altre e più nocive difformità.

Non dico invece che è "retrograda" perché non uso il tempo come metro di giudizio - “più ti riferisci a cose vecchie meno sei da ascoltare”. Infatti la polemica contro la Messa in latino e le reazioni ad essa (non mi stanco di ripeterlo) non è dovuta al fatto che tale Messa o la sua lingua sono “vecchie”. Anche il liberalismo allora, nonostante non vanti duemilaesette candeline, giovane giovane non è!


Parlar male di militia christi sottintendendone le ragioni e voler accomunare a tale giudizio la reintroduzione della liturgia di Giovanni XXIII, cercando di dire che quella riforma è apprezzata da questa gente, è una manovra davvero faziosa.

Beh, chi “cerca di dirlo” ? Lo dicono loro!
Ti dirò poi che io nemmeno la conoscevo, MC, ho pensato lì per lì che fosse una qualche società di beneficenza… Ignoranza mia beata! Poi son rimasto basito nel leggere il loro sito, tant’è vero che ho scritto un post apposito. E tu che ne pensi della loro impostazione? Di quell’impasto ideologico in cui non tutto è propriamente evangelico, del loro lessico fascisteggiante?


Meglio farebbe l'autore a esporsi personalmente nei giudizi perché così, più che ad un liberale assomiglia ad un democristiano tipo Rosi Bindi, una furbizia di tipo Prodiano, appunto, alla quale è difficile rispondere perché mira non al confronto ma a far prevalere il punto di vista dell'autore, una prepotenza, appunto.

Non raccolgo il paragone agli esimi uomini politici che menzioni. Io ho messo un video e ho premesso che non è una statistica, non mi sembra di avere usato chissà quali sottili sotterfugi… Casomai il post era alquanto ellittico perché nasceva come complementare rispetto ad uno precedente.

Esponiti tu, piuttosto! Dimmi che quei signori fanno (almeno) tenerezza, che si esprimono con grande e sconfortante confusione… Esprimiti sulla Militia Christi…

Con stima.

mercoledì, settembre 19, 2007

La Forma Dell’Acqua



ovvero
Dell’Irritazione per un Certo Tipo di Critica Sovente Mossa a Beppe Grillo

Visto che non vogliamo parlare solo di vecchie statue come Marx o di bizzarre bestie come la Militia Christi, mi pare sia il caso di spendere due parole sull’exploit di Beppe Grillo. O meglio sulle reazioni che ha suscitato.

Beppe Grillo col suo V-Day si può analizzare in tanti modi. Io e Beiderbecke ne discutevamo l’altro giorno - non tutte le analisi hanno come risultato un giudizio positivo. Forse sarebbe il caso di dedicargli un post ben meditato, nei prossimi tempi.

C’è però una critica dalla quale dissento fin da subito. Indipendentemente da che cosa si pensi, nello specifico, delle proposte dell’arzillo genovese, del suo stile, della sua efficacia, delle sue prospettive e tutto il resto, che cosa mai vuol dire il commento “La politica si fa all’interno delle istituzioni” con cui ultimamente si troncano i discorsi su di lui? Lo abbiamo sentito anche oggi dal Senatore a Vita Ciampi, che tiene dietro a Napolitano e a vari altri. E c’è da scommetterci che lo risentiremo, se non altro perché quegli augusti vegliardi colla loro autorevolezza destano sempre fenomeni imitativi.

Ebbene, scusate ma per me è un gioco di parole. Le istituzioni sono strutture che di volta in volta sono riempite da chi al potere assurge. Sono i contenitori entro cui si mette l’acqua. E’ vero che Grillo auspica anche dei mutamenti strutturali, ma non mi pare in modo diverso da quanto abbiano fatto o facciano altri partiti politici, tanto in campagna elettorale (come quella in cui è Grillo) quanto una volta al governo. Lo facevano o come lui, o promuovendo mutamenti ancor più grandi. Solo si esprimevano in modo più elegante, appartenevano alla casta (tanto per adottare un termine che mi sembra condivisibile) e per loro non aprirono bocca Presidenti in carica ed emeriti. Cane non mangia carne di cane.

Che tipo di acqua sia Grillo ognuno lo giudichi come vuole: se acqua fresca, se acqua ragia, lo dirà comunque il tempo. Ma enfatizzare che voglia cambiare i contenitori (soprattutto se non si considerano solo i temi del V-Day, ma per intero tutti quelli sollevati in vari anni) mi sembra una riduzione intenzionale e retorica.

In fondo, il termine “istituzioni” è un discussion stopper - è come i morti, di cui non si può dir male (e invece si può benissimo). Tutto questo cianciare di istituzioni e di “luoghi tradizionali” della politica in cui “si deve rimanere” è solo un modo per dire “lasciate che ci rimaniamo noi!”. E scusate se sono osservazioni secche ed elementari.

Valete.

martedì, settembre 18, 2007

De Partibus Animalium [1]. La Militia Christi



Da cosa nasce cosa. Guardando il filmato sulla ritrovata messa in latino che ho commentato qualche giorno fa mi ha incuriosito la menzione, da parte di un suo affiliato, della Militia Christi (un soldato, dunque, a dispetto dell’aria bonacciona). Poiché da costui proveniva un consiglio tanto sgangherato come quello di capire la Passione di Cristo attraverso l’omonimo film di Mel Gibson (con buona pace di altri autorevoli filmoni sul tema), ho voluto scoprire in quale alveo e da quale fonte scorresse mai un tal fiume di dottrina.

Detto, fatto: mi sono letto testi e guardato foto del sito http://www.militiachristi.it/ trovandovi cose bastevoli a sostanziare un post con cui inaugurare una nuova serie polemica, che intitoleremo De Partibus Animalium. Serie dedicata alla individuazione e dissezione degli strani ibridi ideologici, bizzarre chimere o pericolosi dinosauri che siano, incarnati da singoli o da gruppi i quali, con la loro accozzaglia di pezzi male assemblati e che dovrebbero essere estinti da tempo, quasi fan sembrare nobili creature i grandi partiti.

Ad Sidera non vuole surrogare è wiki, quindi non starò a farvi un riassunto particolareggiato della storia della MC, e dei suoi capisaldi ideologici, che anzi vi invito a leggere direttamente. Posso in breve descriverne lo spirito come una ventata di ideologia ancor peggiore di quella del Concordato. Quello fu stipulato da un Mussolini perfettamente consapevole del suo valore strumentale (“Essendo d’accordo col Papa si domina ancora la coscienza di 100 milioni di uomini” - Discorso alla Camera del 5 maggio 1929) mentre qui ci si riferisce, con entusiastica viscerale adesione, alla sovranità di Cristo che si dovrebbe tradurre, da dominio del cuore del singolo (cf. il vessillo della MC), in (auspicio di) dominio politico esercitato da colui che del Nazareno sarebbe il vicario in terra - a partire, ça va sans dire, da Roma caput mundi e dall’Italia. In questo sito, in cui re si scrive ancora, deamicisianamente, con la maiuscola (ma “sì” senza accento, a giudicare dagli striscioni), la parola si riferisce di preferenza al Romano Pontefice.

Strani strabismi e miscugli emergono. Nonostante si voglia sottolineare l’estraneità di Pio XII alla persecuzione degli ebrei (http://www.militiachristi.it/Riflessioni_e_Formazione_art._7.hm), si ha poi una convergenza di fatto con il (neo)nazifascismo: nello stile, a partire dal gotico del nome, nel lessico (“onore ai caduti pontifici”), nei temi: no veemente a coppie di fatto, immigrazione, aborto e così via, il tutto presentato come costitutivo di una minaccia imminente cui si opporrebbe appunto la militanza nell’Armata dell’Unto. Chi avesse voglia di fare un po’ di spazzaturistica comparata potrebbe infatti rilevare le enormi somiglianze con Forza Nuova (http://www.forzanuova.org/), ad esempio l’ossessione antimassonica che richiama quella analoga del Benito (il complotto pluto-giudaico-massonico…).

Apprendiamo poi su wiki che il movimento si dichiara “Cattolico ma non antiebraico”. I buoni cattolici esenti da antisemitismo proveranno, nel leggere questa specificazione, quel che hanno provato generazioni di donne non bionde nell’ascoltare di Marina, “mora ma carina” (che in realtà è una finissima citazione scritturale).

Altre meraviglie. Si insiste che i capisaldi della fede sono perfettamente afferrabili dal senso comune, e poi si cita una qualcosa di evidente e universale e sempre esistito come l’infallibilità papale. Non si può dire però che il sito della MC sia superficiale: qui le cose si argomentano e si spiegano fin nei minimi particolari… Impariamo ad esempio da una nota a un testo di un certo spessore (http://www.militiachristi.it/Riflessioni_e_Formazione_art._6.htm) che “La gnoseologia è quella branchia della filosofia che studia la conoscenza umana.” Per tacer delle pinne. Con questa notazione termino dunque in perfetta coerenza tematica questo primo articolo del triste bestiario, per il quale si accettano suggerimenti e candidature.

Valete.

domenica, settembre 16, 2007

Tre Veleni Mortali




Le posizioni che a noi piace difendere, a forza d’argomenti, e che vorremmo vedere realizzate, sono note. Vorrei ora, ragionando su di un piano più generale, individuare tre atteggiamenti o tre disposizioni (leggetene, poi chiamateli come volete) che corrispondono a tre letali impedimenti a qualunque discussione, a qualunque dialogo, a qualunque possibilità di cambiamento. A prescindere dal fatto che difendiate posizioni simili alle nostre o meno, spero che vi accorgerete che non fanno bene a nessuno (tranne a chi se ne serva intenzionalmente, diffondendoli per difendere i propri privilegi) e che sarete d'accordo con l’etichetta "tre veleni". E sono purtroppo veleni assai diffusi.


Primo veleno: "Son tutte parole"


Questo atteggiamento si sposa bene con la pigrizia e si ritrova in genere in chi si sente insicuro con le proprie conoscenze, o abilità dialettiche, oppure è rimasto deluso da promesse tradite (infatti si riscontra spesso negli elettori di Berlusconi, ed è quindi un sintomo da cui si individua nonostante le reticenze precedente voto dato a Forza Italia. Ma fra un po' le cose si confonderanno).

Si tratta della diffidenza nei confronti della discussione e della comunicazione. Quando si avverte anche solo un po’ di correttezza nel ragionamento altrui lo si bolla subito come un prodotto verbale sì di buona fattura, ma proprio per questo da considerare con sospetto o come inefficace: "son tutte parole", appunto.

Eh no. Le parole, lo sappiamo, sono quanto di più inflazionato abbiamo. Ma sono anche tutto quello che abbiamo, perché la nostra ragione è discorsiva (non voglio imbarcarmi in nessuna grande tesi filosofica, ma avete mai notato che gli animali non discutono?). Di parole sono fatti tanto il Mein Kampf e il Libro Rosso quanto la Divina Commedia e la Costituzione. Le parole non sono solo quello che sentiamo, ma quello che pensiamo. E che poi facciamo. Non si deve dimenticare questa relazione diretta. Chi diffida delle parole o vuole passare ad altri mezzi oppure disprezza l’unico strumento analitico e costruttivo che abbiamo in molte questioni (in particolare quelle etiche). Chi le sprezzasse perché teme raggiri verbali sprezza in realtà la propria ragione ed è insicuro di sé. Chi rinuncerebbe ai polmoni per timore di respirare qualcosa di puzzolente o persino di tossico?

Secondo veleno: L’ignoranza immobile

Non sa servirsi della ragione non solo chi ne rifiuta l’uso ma anche chi non sa sostanziarlo. Molti sanno difendere le proprie posizioni non tanto argomentandole quanto facendo un uso povero delle parole. Ovvero usandole sulla base di passaggi dati per scontati, di facili equazioni, di slogan. Su quelli si attestano e non v’è nulla che li smuova, nemmeno se "smuovere" significa condurre una difesa, scendere nello spazio delle ragioni e cercar definizioni, e sostenere una tesi. Ripetono e tutt'al più cambiano l'ordine dei termini, con triste e inane ars combinatoria.

Tre esempi. (1) Inutile che qualcuno mi dica che l’omosessualità è "contro natura", se poi non mi sa dire che cosa "natura" significa. [NB: sembra facile!] (2) Inutile che qualcuno si dichiari "liberale" se non ha un corrispondente concetto di "libertà", ovvero qualcosa che non sia solo un istintivo apprezzamento per la parola "libertà", che ovviamente, "suona bene" (come "democrazia", infatti ci si affretta sempre a farcirne i nomi di qualunque partito). [NB: sembra facile!] (3) Inutile che qualcuno si dichiari "cattolico" se poi non sa dirmi i dogmi in cui per definizione un cattolico deve credere (e che lo differenziano da un protestante, ad esempio, o da un ortodosso). Come l’Immacolata Concezione. O l’Assunzione. [NB: sembra facile!]

E così via.

Terzo veleno: Il gioco di Pollyanna

Non avrete dimenticato Pollyanna, zuccherosa protagonista di più d’un libro e, soprattutto, d’un film Disney per famiglie. Costei, alla quale od alle cui conoscenze capitavano sventure più o meno gravi, trovava sempre un modo per consolarsi, pensando al peggio che avrebbe potuto verificarsi e che non s’era verificato. Desiderando ad esempio ricevere una bambola per posta e ottenendo invece, per uno scambio, un paio di stampelle, la fanciullina si consolava della delusione pensando al fatto che di quelle stampelle non aveva bisogno. Questo modo di vedere le cose era chiamato "Il gioco della felicità". Ebbene, a quanto pare alla piccola non passava per la biondocrinita testolina, forse, che avrebbe comunque potuto ottenere la sua sospirata bambola se avesse sporto reclamo. O, ancor meglio, che avrebbe provato felicità anche regalando quelle stampelle a un bisognoso.

Veniamo a noi: molte volte si sente dire che, in fondo, si sta bene, che non c’è da lamentarsi. D’accordo, sì. Nessuno dichiara che siamo con l’acqua alla gola e che in Italia si sta male. Abbiamo anche il superfluo e forse di più. Ma appunto, in primo luogo, fa rabbia che a tanto benessere non corrisponda progresso spirituale (anche un cattolico, mutatis mutandis, potrebbe sottoscrivere questa affermazione!) o diffusione del sapere, o generosità. Inoltre spesso non ci si rende conto di quanto si potrebbe migliorare. Stare meglio di qualcun altro non è un buon motivo per pensare di essere giunti alla perfezione. Da notare che quella argomentazione ("perché battersi per la legge X? In fondo non stiamo mica male") è spesso e volentieri accampata da chi riconosce che la legge X sì, apporterebbe qualche beneficio a qualcuno, ma crede in prima persona di non averne bisogno, o di non doverne avere mai bisogno in futuro, così che questo veleno è un diretto distillato della miopia intellettuale, dell’egoismo e della pigrizia.

Valete.

la religione, il liberalismo e l'intolleranza



Ogni volta che discuto di religione, chiesa e modo di vivere la religione con un amico cattolico, mi cascano mediamente le braccia: non c'è nulla di più inutile e frustrante che cercare di mostrare certe cose a chi graniticamente considera alcuni argomenti come intoccabili e non lascia spazio ad alcuna dialettica. Ci tengo a premettere che io NON sono anticlericale, credo fermamente nella libertà di professare il proprio culto, qualunque esso sia nella maniera che si preferisce. Credo anche nella libera manifestazione del pensiero, cardine della società occidentale nata dal liberalismo classico, e quindi ritengo che sia un diritto sacrosanto professare un'idea quanto dire tutto il male possibile su di essa.

In quanto liberale, io sono un convinto assertore della laicità intesa come libertà (sempre entro i limiti inderogabili del c.d. primicipio del "neminem laedere") di non essere obbligati a sottostare ad imperativi morali ed a condotte di vita che non si condividono.
Quindi quando parlo in modo pesantemente critico di una religione, specie di quelle religioni che a mio avviso oggi stanno peggiorando a livello globale la qualità della vita nel mondo (l'islam in primis, poi a seguire il cattolicesimo), mi limito a contestare la loro pervasività, la loro volontà costante di volere imporre su di tutti i propri precetti morali. Un avveduto credente potrà replicare: "Certo, per me i precetti religiosi sono espressione della verità assoluta, quindi - in quanto assoluta - per definizione tutti sono ad essa assoggettabili, in altre parole essa è il bene per tutti e quindi penso che tutti debbano sottostarvi". Innanzitutto magari tutti rispondesssero con questo tenore..eppoi si potrebbe facilmente replicare loro che, se nulla vieta di fare assugere alcuni precetti morali a "massimo bene per l'umanità intera" del resto nulla impone che tale verità sia resa cogente: che sia imposta per via legislativa (temi bioetici cattolici in Italia) o peggio con la violenza (vedi islam radicale e le continue minacce e violenze da esso perpetrate ai danni dell'occidente e dei musulmani moderati).

E' la scissione tra morale e diritto che manca a queste concezioni della vita, la scissione tra peccato e reato. Sarebbe lungo qui ripercorrere il serrato interccio che lega diritto e morale lungo le complesse direttrici della filosofia, della sociologia e la teoria del diritto. Mi basta semplicemente ricordare che quello che mi ha sempre fatto ritenere il pensiero liberale come il migliore tra quelli attualmente elaborati è il fornire linee guida, shapes of mind più che imperativi dettagliati. In tutti i pensieri totalizzanti (tra i quali entrano a pieno titolo anche le religioni atee, come il comunismo ed i vari nazionalismi totalitari) la vita di un individuo è strettamente irregimentata in una serie di diktat, che nel loro complesso compongono una concezione secondo la quale l'individuo stesso finisce per dissolversi, nella massa dei fedeli o nelle classi sociali.

Nel pensiero liberale avviene il percorso inverso: si parte da un principio di fondo, il neminem laedere, la libertà totale finchè non si danneggiano gli altri, per poi fornire la specificazione di esso nei vari campi della vita (economico, sociale, etc.) ed eventualmente apportarvi alcuni correttivi minimi. Ma la concezione di base che pervade la vita di un liberale è un'ampio e residuale spazio per la libertà del singolo. Per questo il liberalismo è tolleranza e il pensiero confessionale è tendenzialmente imposizione. Brutalmente, il liberalismo dice: "se non crei danno ad alcuno tu sei libero di vivere come vuoi"; i pensieri totalizzanti al contrario partono negando questa premessa e dicono: "questi sono i confini entro i quali devi vivere e muoverti: entro di essi e solo entro di essi sei libero". Questi ultimi elevano rozzamente la morale a diritto ("cio che è infinitamente buono per noi DEVE esserlo per tutti") il liberalismo eleva a diritto una generale libertà e rende cogente solo ciò che la viola o che la mette a rischio.

Intendiamoci poi, c'è a mio avviso una minoranza di credenti che comprende questo complesso rapporto tra diritto e morale di matrice liberale e che si rende perfettamente conto che è per merito di esso che l'occidente negli ultimi secoli è progredito migliorando la qualità della vita in modo impensabile agli albori dell'età moderna. E' assolutamente possibile, in altri termini, essere credenti e liberali: il liberalismo NON postula mai l'ateismo. Il liberalismo invece postula SEMPRE la laicità, ovvero la facoltà accordata agli altri di poter vivere la propria vita (specie quella privata) come meglio credono, sempre finché non creano danno ad altri. Quando la maggior parte dei cattolici e degli islamici interiorizzerà questo semplice concetto allora anche l'italia ed i paesi islamici potranno assurgere ad un livello di libertà sociale ed economica ed a una mentalità tollerante propria di paesi, spesso cristiani, in cui però la separazione tra sacro e profano, tra stato e chiesa, è da sempre concepita come una componente essenziale della qualità della vita.
Saluti

venerdì, settembre 14, 2007

A Volte Ritornano



Cari due lettori,
ritorno assai brevemente sulla questione della Messa in latino. Su alcuni video de La Repubblica (di cui qui mi servo NON per adesione ideologica ma puramente come fonte documentaria) possiamo vedere la “prima” Messa in latino (ovvero post-reintroduzione) ed i suoi “effetti”.

http://tv.repubblica.it/home_page.php?playmode=player&cont_id=12579

Ascoltate i commenti dei fedeli. Chiaramente riconosco che non hanno valore generale o generalizzabile: sono quattro o cinque di contro all’enorme massa di tutti i cattolici. Ma sembrano confermare alcune mie osservazioni di qualche tempo fa.

Perché la apprezzano? Risposte sparse: perché fa antico, perché mi ricorda il babbo morto, perché è più ricca di contenuti (sic - ma una lingua, qualunque sia, è veicolo o contenuto?). E’ “più ricca e densa”, dice una fedele, come si direbbe di una cioccolata in tazza Cameo di nuovo lancio.

Chi la segue meglio addirittura si scopre essere “Chi non sa il latino”, secondo il signore della Militia Christi, mentre una signora dice più nettamente “bisogna che imparino”. E si sentono poi ringraziamenti, per questa iniziativa tutta terrena, sia al Papa sia a Dio e alla Madonna (dei quali ultimi vorremmo vedere la firma in calce all’autorizzazione - così come vorremmo sapere chi invece NON fu da ringraziare quando un altro Papa prese la decisione opposta! ). E sempre il membro della Militia Christi ci invita, per capire la Passione, a vedere il film di Mel Gibson! (Per fortuna l’altra signora richiama alle Sacre Scritture).

La forma prevale sulla sostanza e comunque è una forma arlecchinata, tutta fatta di toppe eterogenee -nel postmoderno tutto si mescola, e Messa, Bibbia, film di qualche anno fa, sono nello stesso calderone. Ripeto: approccio da DVD.

Forse tra qualche secolo ci sarà una Militia Gibsonii. Dov’è un nuovo Lutero?

Valete.