mercoledì, luglio 04, 2007

Di Chi Sono Io - E Che Ne Consegue?



Vorrei partire da una considerazione apparsa in un recentissimo commento di un nostro (DEL nostro?) lettore piu' critico – e gradito.


"Una cosa ho da dire circa "il tuo diritto di proprietà assoluto" sulla vita. Se c'è una cosa non vera è proprio questa, tu nasci senza volerlo, muori quando non lo decidi tu e anche se non lo vuoi tu, ti può capitare di tutto senza che tu minimamente lo desideri, anzi. Come fai a dire che hai la proprietà assoluta, di che cosa?"


Questa argomentazione, riassumo per chi non abbia tempo e voglia di andarsi a rileggere il contesto, e' stata sollevata contro una brevissima menzione fatta da Beiderbecke del diritto di proprieta' assoluto che si ha sulla propria esistenza, diritto che e' portato a giustificazione dell' eutanasia. Con l'argomentazione riassunta in quelle righe si dovrebbe appunto spazzare via il fondamento concettuale della apologia dell'eutanasia.

Non ho intenzione di parlare dell'eutanasia in se' e per se', tema delicato, inevitabile e amaro. Ma voglio mostrare, in poche e chiare righe se possibile, che quella argomentazione e' pericolosissima dal punto di vista teoretico per un cattolico quale il nostro lettore (e quali i piu' convinti detrattori dell'eutanasia).

Ebbene si'. Nasciamo senza chiederlo e moriamo contro la nostra volonta' (anche se il primo caso e' piu' chiaro del secondo: giusto o sbagliato che sia dal punto di vista morale, ci sono persone che muoiono, infatti, per loro volonta'). Questa oscurita' della nostra provenienza e della nostra destinazione, che tocca ciascuno, e' un punto che molti filosofi hanno definito a fondo, meglio di quanto noi in questa sede non possiamo fare, e che peraltro anche una mente non avvezza alla filosofia puo' ben facilmente afferrare. L'idea della "non-proprieta' di noi stessi" si concilia, curiosamente, tanto con una filosofia dell' assurdo, atea e negatrice della immortalita' dell' anima (perche' vivere e dare un senso alle cose, se tutti ci attende una sola infinita notte?) quanto con il Cristianesimo (attenti, poiche' non sapete ne' il giorno ne' l' ora – il Signore verra' come un ladro nella notte – tutto e' in mano a Dio, anche i capelli del nostro capo sono contati, e noi anche sforzandoci non potremmo prolungare di un minuto la nostra vita [ho citato non alla lettera, e a casaccio, ma cf. Mc 13, 37; I Tess. 5,4; Mt 10, 30]).

Ma se partiamo dalla constatazione che nulla e' in nostra proprietà (o, ripeto, perche' e' in mano al caso, o perche' e' in mano a Dio le cui vie sono infinite e i giudizi imperscrutabili), allora ne dobbiamo derivare, caro lettore (e cari tutti i quali siano stati tentati da un simile argomento), non tanto una confutazione della eutanasia (o dell' aborto) quanto una dimostrazione dell'assurdita' dell'azione in toto. Se tutto e' assurdo, o se di tutto e' padrone Dio, tanto vale fermarci e non fare piu' nulla. Ma l' azione e' essenziale. Da un punto di vista biologico e' inevitabile: se un animale si fermasse a meditare sulla insensatezza del vivere (ma in realta' solo l' uomo ha questa prerogativa), un predatore lo mangerebbe (un uomo, protetto com' e', generalmente, da quattro mura, per lo meno morirebbe di inedia). Se un cristiano si adagia nel fatalismo, allora, o abbraccia una dottrina della predestinazione (possibile opzione sostenuta in ambito protestante – ma anche quelli non e' che poi si bloccassero a far nulla) o, di fatto, contraddice il proprio operare per ottenere la grazia agli occhi di Dio, come dogma e come prassi.

Infatti, non esiste un fatalismo perfetto. Non esiste e non puo' esistere. Agiamo, facciamo, ci muoviamo (almeno in un ambito della nostra vita) come se quella latente insensatezza non ci fosse. Questa la caratteristica principe non dico dell' umanita' intera in ogni tempo e luogo ma almeno della civilta' occidentale: la capacita', pur potendo pensare (avvertire?) il nulla, di darsi all'essere. Di far sorgere uno spazio delle ragioni, dei concetti (e mi scuso se per alcune orecchie questo e' troppo filosofico ovvero astruso).

Ora: tra questi concetti vi sono quelli di individuo, di vita e di proprieta'. Si DEVE dire che essi vanno insieme: e cioe' che ciascuno ha la proprieta' della propria vita (e regolarsi, nello stabilire leggi, di conseguenza). Se si dice che l'individuo non e' padrone della propria vita, si deve giustificare questa asserzione o cadendo nel totale fatalismo dell'insensatezza (posizione non infondata, si badi, e' anche la mia, confesso, nei momenti peggiori -ma allora, signori, non ha piu' senso nemmeno che leggiate queste righe) o dicendo che di tutto e' padrone Dio. Ma se Dio e' padrone di tutto –veramente tutto: e di 'parte' non puo' esserlo, perche' allora sarebbe limitato ed anche questo non e' cristiano- allora si deve scivolare nell'inazione per non offenderlo con la nostra ingerenza. Inazione che, da un lato, contraddice la dottrina della salvezza mediante il proprio comportamento e che, dall' altro, in ogni caso non trovo riflessa nemmeno nella condotta degli uomini di chiesa attuale; per fare un esempio banale, ma buono perche' tristemente presente alla memoria di tutti, Giovanni Paolo II e' stato tenuto in vita (nonostante lo minacciasse un decadimento del tutto 'naturale') da delle macchine. Stava usurpando il diritto di disporre di quel corpo, di quella vita?

Non si pensa, di primo acchito, ad applicare il discorso dell'eutanasia alla terapia: ma ha la medesima forma. Qualcuno potrebbe dire (qualcuno dice): il caso della terapia e' opposto, in quanto, si coopera alla vita e cosi' facendo si coopera con Dio che la vita sostiene. No - non mi oppongo a priori, ma la questione non fila teoreticamente cosi' liscia come desiderereste: a parte il fatto che "cooperare con Dio" e' un giudizio che cela in se' una gran presunzione, e che porta a limitare la potenza di Dio (si co-opera solo con qualcosa o qualcuno la cui azione e' incompleta, infatti, ed i cui piani siano chiari), ma qui si sta scivolando surrettiziamente al concetto di vita come "opposta alla morte" da quello di vita nel complesso – come progetto di una singola esistenza; e nel progetto che e' in mano a Dio (se e' in mano a Dio) ci sta benissimo un limite alla prima che non e' in nostro diritto nemmeno tentare di prolungare. (Si scopre cosi' che nel fatalismo coerente la rovina della classe medica e' in agguato…) Se poi volete supportare su base evangelica il prolungamento in tutto e per tutto delle cure atte a continuare la vita come assenza di morte, come se questo tema fosse inequivocabilmente affrontato, come se un giudizio al proposito fosse univocamente deducibile dale parole del Signore, auguri - stiracchiate pure le parole di Gesu', il quale ha lui stesso oscillato, davanti alla prospettiva della morte e della sofferenza, tra il desiderio dell' allontanamento dell'amaro calice e l'abbandono alla Volonta' del Padre [cf. Mt 26,41].

Si potrebbe ancora dire: d' accordo, e' teoreticamente fondato parlare di proprieta' della vita: ma chi dice che poi di questa debba disporre l' individuo e non qualcun' altro? Su questo punto sono ben sicuro. Se proprieta' e' un predicato lecitamente applicabile alla vita individuale, nessun altro se non l'individuo stesso deve essere colui che e' concepito come in grado di disporne. Se cosi' non fosse (ovvero: se si dicesse che qualcun altro –qualche altro essere umano, in questo caso) ne dispone, le conseguenze sarebbero ripugnanti, e non e' necessaria la filosofia a capire quanto.

Se non sono d'altri, io sono mio, dunque. E ricevo questa proprieta' con timore e tremore.

Valete.

geniale

Semplicemente uno dei più bei monologhi che il cinema ci abbia mai regalato, capace di interpretare alla perfezione l'umore che certe mattine o certe notizie sono capaci di infondere :-)

martedì, luglio 03, 2007

Di laicità, totalitarismi e progresso umano



Ci ho pensato molto di frequente, e gli ultimi attentati (per fortuna sventati) di Londra e Glasgow mi mi ci hanno fatto tornare sopra. Alla laicità, intendo. Ho sempre ritenuto fermamente che ad essa dobbiamo la nostra ricchezza, il nostro progresso, la nostra civiltà, che insomma il nostro (intendendo noi come occidente) benessere sia ad essa intimamente connesso e proporzionale.
Essa, all’inizio di quella che comunemente si chiama “età moderna”, ha coinciso con una concezione di uomo libero, non più inquadrato saldamente in caste statiche, ereditarie, immutabili. Si è svilita la forma e si è iniziato a considerare la sostanza: l’uomo non è caratterizzato in base a chi è ma in base a cosa fa. Perciò ogni uomo deve essere libero almeno aprioristicamente di vivere la propria vita, decidere cosa farne. C’è un punto della costituzione americana (che a dispetto di formule rituali che contiene va indicata come un cardine della modernità laica) che mi ha sempre entusiasmato per la sua acutezza: la libertà basilare di ogni uomo di ricercare la felicità. Il concetto di ricerca della felicità (“the pursuit of happiness”) racchiude già in sé il mondo moderno. Perché la ricerca sottende che la felicità non sia un dato a priori né acquisito né precluso: non si nasce in una condizione imposta (dallo stato, dalla religione e da leviatani assortiti) che ci si porterà fino alla tomba, ma si ha il diritto di mutare questa condizione, senza che nessun ostacolo insormontabile ci sia imposto dall’alto. Tutto ciò che prima ha afflitto moralmente e fisicamente l’uomo, dalle classi dell’ancien regime ai diktat morali e le gerarchie della chiesa, iniziano a sembrare inutili costrizioni, delle quali – e qui sta la differenza tra liberale e giacobino – non si chiede la morte o la distruzione, ma solo la libertà di emanciparvisi.
Io concepisco la laicità in questo senso: libertà di chiamarsi fuori, senza arrecare danno ad altri, dalla morale imposta, dalle costrizioni religiose ed etiche dominanti. Eleggere quindi l’individuo in quanto tale ed i suoi diritti ad unità minima della società: non il fedele, non il lavoratore, non il granello in una massa informe, ma l’individuo in sé e per sé. In questa prospettiva le caste, le classi e le altre sovrastrutture create ad arte per negare libertà dei singoli sono obsoleti strumenti da buttare. La storia coi suoi corsi e ricorsi ci insegna chiaramente che il progresso ed il benessere sono maggiori nelle società libere, che attribuiscono dignità e diritti all’individuo, mentre al contrario le società totalitarie (che siano su base religiosa e politica poco importa) creano sacche di ingiustizia, vessazione, schiavitù morale e sono puntualmente destinate al collasso. Glie esempi che possono essere addotti in proposito sono molti: in primis l’arretratezza degli stati confessionali, quale era un tempo lo stato pontificio, quali sono ora la maggior parte dei paesi islamici: tutti posti ove il progresso è malvisto e condannato in quanto eretico, ove fame, analfabetismo e privilegi di casta sono diffusissimi.
Un altro esempio calzante è dato dalle religioni “politiche”, ossia quelle concezioni totalitarie che hanno la pretesa di annullare il singolo in una massa indistinta, a prescindere dalla sua proclamata, fasulla laicità. L’esempio più calzante in questo caso è l’ideologia comunista, che annulla il singolo, che alle caste dell’ancien regime sostituisce le classi in lotta tra loro, soggetti unitari con diritti uniformi di cui si è ineluttabilmente parte. Non vi è alcuno spazio per il dissenso proprio perché non vi è alcuno spazio per l’individualità: tutto è scandito da un monolitico agire coordinato. Alla luce di queste considerazioni il comunismo stesso può ritenersi a buon diritto una religione, in quanto promette un’utilità predeterminata in seguito ad un’altrettanto predeterminata condotta di vita. Ed è qui che più forte si avverte la spaccatura tra il liberalismo (che postula sempre la laicità) e le ideologie aventi pretese totalitarie: nessuna utilità, terrena od ultraterrena, è per l’ideologia liberale dovuta all’uomo in quanto tale, ma quest’ultimo ha solo il diritto di procacciarsela. Riprendendo il discorso si ha diritto a ricercare la felicità, non alla felicità stessa.
E come l’uomo ha da sempre ricercato la felicità? Col lavoro, industriandosi al fine di accumulare profitti che aumentino il proprio tenore di vita. Questo è solo un accenno per dimostrare sia agli ultradestrorsi che ai sinistrati che, perché sia massimizzato il benessere di una società, libertà individuali e libertà economiche devono andare di pari passo.
saluti

domenica, luglio 01, 2007

Di "Libero", Vecchie Zie e Antiecologismo



Molto ci sarebbe da dire, molto, sul quotidiano Libero, che in anni e anni di sparate e di numeri pirotecnici ha finito con l´essere noto ai piu´.

Libero appartiene al novero dei giornali come il Manifesto e l´Unita´, dei quali anzi si puo´dire sia il corrispettivo a destra (o centro-destra, se vi premono tali etichette). Giornali, con i quali un certo pubblico di lettori compra le idee, ossia gli slogan, che poi sostiene durante la settimana; giornali di contrapposizione, piu´che di informazione, che danno il meglio di se´ quando la propria forza politica preferita e´ all´opposizione e che poi, se quella per avventura (puo´capitare!) ascende agli scranni romani, ingaggiano, a causa della propria spinta essenzialmente polemica, battaglie tanto con l´opposizione quanto con la maggioranza, fingendo di farle la fronda. Giornali in cui si puo´ si´, di tanto in tanto, ravvisare qualche giusta posizione (aurum in stercore), ma per il semplice fatto che, criticando sempre e comunque, prima o poi si coglie nel segno, in un Paese dalle mille storture.

Libero si contraddistingue per i suoi titoli oscillanti tra il sarcastico e il volgare, sempre piu´spesso corredati da apposite vignette (per verita´ non particolarmente espressive, ma e´ un parere strettamente personale). La volgarita´e´un elemento integrante della polemica; si tratta, infatti, di compiacere quella mentalita´ "da vecchia zia"(1), che predica le buone maniere e allungherebbe uno scappellotto al nipote se questi parlasse con la bocca piena o si lasciasse sfuggire un ´cacca´, ma che poi, vedendo vignette come quella con un Berlusconi che fa il gesto dell´ombrello (frutto di premature entusiasmi per lo spoglio del Senato un anno fa) o leggendo la parolina ´paraculo´ di recente riferita a quel tristanzuolo di Veltroni, ride compiaciuta di quel sciur Feltri ´che non le manda mica a dire´. La mentalita´di chi vede negli extracomunitari una continua minaccia, forse la radice di tutti i mali italiani, ma poi gongola della gonna comprata a cinque euro ´dai cinesi´. La mentalita´di chi chiuderebbe tutte le frontiere ma poi se deve assistere la nonna malata e´ ben contenta di chiamare la sottopagata badante ucraina. Una mentalita´, insomma, strabica e ipocrita (ne´di destra ne´di sinistra, ma essenzialmente italiota).

Torniamo al nostro giornale. Che dovrebbe piuttosto chiamarsi Capriccio, caratterizzato com´e´dai ghiribizzi piu´bizzarri – e in realta´sempre riconducibili a ben precise influenze politiche. Il piu´triste fu quello legato alla vicenda di Cogne, che vide il quotidiano dapprima (con la solita enfasi) colpevolista e poi iper-innocentista, non appena la difesa della Sig.ra Franzoni fu assunta dall´amico-di-Libero Taormina, galantuomo affamato di notorieta´ e fresco di cacciata da una carica governativa (cacciata il cui casus belli fu il ´tono´ di alcune sue esternazioni in merito al sistema della Giustizia e che fu il frutto tanto della polemica dell´allora opposizione quanto di antipatie e rivalita´ interne all´allora maggioranza).

Per compiacere quella mentalita´ da vecchia zia di cui sopra che cosa si fa? Ci sono molte strategie. Una e´quella di individuare un tema e di trattarlo in modo ´inusitato´, cioe´ da bastian contrario, dando cosi´l´impressione di andare controcorrente ma in realta´compiacendo l´inerzia mentale del lettore. La retorica delle sparate fa il resto. Ecco allora l´esempio degli ultimi giorni: in un mondo in cui i piu´ bei ideali sono purtroppo rappresentati da emeriti cretini, capita ad esempio che la sensibilita´ ecologista sia presa ´a cuore´ da politici (o altre figure influenti) – basti pensare al tema del riscaldamento globale, preso sulle spalle da Al Gore e di recente riproposto in sede italica, nel suo sciapo minestrone, dal filo-ambientalista (ma filo-tutto, in realta´) Veltroni. Poiche´ tale tema e´difeso a parole da specifiche persone, con tutti i loro difetti, non e´ infrequente che costoro siano colti in flagrante a non razzolare bene quanto predicano. Oppure, essendo la tesi in questione collegata ad una campagna elettorale, se ne sottolinea l´uso utilitaristico (ma anche un giornale, in realta´, non e´ pubblicato in virtu´del solo amore delle idee che diffonde).

E allora che ti fa quell diavolo d´un Libero? Ti smonta le ´balle degli ecologisti´: cioe´, dato che le persone che predicano la difesa dell´ ambiente (oppure, se il termine vi sembra troppo ambizioso e altisonante, ´comportamenti ambientalmente piu´corretti´) sono poco credibili e spesso, ahinoi, di sinistra, bando all´ecologismo e alla ´sudditanza mentale´ in cui ci ha indotto (ma quando? viene da chiedersi). Poiche´ tanto a Napoli la spazzatura non si divide, non dividiamola nemmeno noi! (E´ in fondo il ragionamento del leghista che non paga il canone rai per protesta contro il fatto che c´e´chi non lo paga al Sud). Poiche´ ci sono studi che potrebbero dimostrare che gli scarichi delle auto non sono poi cosi´dannosi, nel dubbio, sgasiamo piu´che possiamo con le nostre macchine, usiamole anche per andarci dalla camera al cesso, sara´un atto politico alla faccia dei sinistrorsi oltreche´una gran comodita´! Come diceva una freddura del grande Bramieri, mangiamo cacca, miliardi di mosche non possono sbagliarsi...

Ma si´, non costa niente a Feltri promuovere queste campagne, che confermano il lettore, essenzialmente, nella sua pigrizia, dando una motivazione politica a qualcosa che gia´ fa (sprecare e inquinare) e che ora assurge a gesto politico. Come i ragazzi che vanno a un concerto saltando la scuola ma che lo fanno ancor piu´ volentieri quando e´ ´per la pace´: diversi i soggetti, diverse le idee, ma il meccanismo psicologico e´ lo stesso. Tornando al tema dell´ambiente: Feltri (o chi per lui) non lo dice, ma a non gliene frega niente, per ragioni anagrafiche, se i ghiacci si sciolgono le radiazioni aumentano e lo scappamento e´cancerogeno (per carita´, non che lui ne sia la causa principe, sia ben chiaro), perche´ tanto lui al mondo non ha da starci piu´quanto noi; infatti, anche questo meccanismo che ho descritto e´ uno dei risultati della gerontocrazia che, come fenomeno piu´generale, e´ uno dei veri mali dell´Italia. E per il momento, a chi interessa il breve periodo perche´ anche nel medio non sara´piu su questa Terra, basta vendere copie e impressionare le vecchie zie con le proprie tesi "controcorrente" e le parole "chiare".

Valete.


(1) Per favore non commentate polemicamente menzionando zie non piu´giovanissime ma mentalmente dinamiche e che dividono coscienziosamente i rifiuti: e´solo un´immagine illustrativa: avevo in mente uno di quei personaggi alla Giornalino di Gian Burrasca. Questo NON e´affatto un articolo contro le sorelle della mamma o della nonna.